Gozi: “Al fianco di Renzi per l’ultima chiamata Prodi falciato da chi non ha creduto al Pd”

Pubblicato il 11 Novembre 2013 alle 12:43 Autore: Gabriele Maestri
gozi sottosegretario

Gozi: “Al fianco di Renzi per l’ultima chiamata. Prodi falciato da chi non ha mai creduto al Pd”

Nessuno sa ancora quanti iscritti e simpatizzanti voteranno l’8 dicembre per eleggere il segretario del Pd. Certamente però peserà più di tutte l’assenza di Romano Prodi, che di quel partito è il “padre”. Il suo rifiuto di partecipare alla consultazione è fonte di dispiacere, ma era prevedibile per una delle persone che gli sono vicine da più tempo, il deputato Sandro Gozi. Anzi, per lui la scelta di Prodi è il frutto di chi nel Pd non ha mai creduto e l’ha portato in acque lontane dalla rotta originale.

Alle primarie di fine 2012 Gozi aveva appoggiato Bersani, ma da mesi ha scelto di sostenere Matteo Renzi al congresso, ritenendo che solo con lui si possa costruire il centrosinistra che ha sempre voluto. Per Gozi il Pd deve dialogare seriamente coi socialisti europei (“Ma sul congresso Pse a Roma vedo improvvisazione e pregiudizi”) e prepararsi a essere l’alternativa credibile a un Pdl in preda all’instabilità. “Ora invece gli avversari di Renzi sono impegnati soprattutto a delegittimare il percorso delle primarie”.

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Onorevole Gozi, non solo Romano Prodi non è più un iscritto al Pd, ma ha deciso di non votare nemmeno per la scelta del segretario: come ha accolto la notizia?

Beh, ovviamente da democratico e da parlamentare sono molto dispiaciuto: è chiaro che se neppure il cittadino Prodi, oltre che il politico, ritiene di partecipare alle nostre primarie, è una notizia negativa per tutti. Però mi sprona ancora di più per cercare di ricostruirlo veramente, questo Pd: spero che, se Prodi l’8 dicembre non sarà con noi, possa esserci nel partito che dobbiamo costruire dal 9 dicembre in poi. Prendo la sua assenza come uno sprone di qualcuno che ha dato tutto quello che poteva al Partito democratico e ora dà un giudizio negativo a quello che il Pd non è stato in questi anni. Questo però deve spingere tutti noi che vogliamo ricostruirlo a farlo nel miglior modo possibile, per convincere il suo fondatore a darci fiducia.

Lei è stato ed è politicamente vicino a Prodi: si aspettava una decisione simile?

Sì, me lo aspettavo. Speravo di no, ma ne avevo il timore per tutta una serie di motivi. Alcuni più noti o più notati dall’opinione pubblica: penso a quello che è accaduto nel 1998, nel 2008 e soprattutto quello che è successo con i 101 “criminali politici” – come li chiamo io – del 19 aprile di quest’anno. Ma anche per fatti che avevano preparato quel 19 aprile.

Ad esempio?

Beh, noi che siamo più vicini a Prodi ricordiamo sempre il silenzio assordante di tutti i dirigenti storici del Pd quando, il 16 aprile di quest’anno, nella piazza di Bari, Berlusconi disse che se mai Prodi fosse stato eletto Presidente della Repubblica lui e tutti loro sarebbero emigrati dall’Italia: nessuno dei dirigenti del Pd pensò che fosse necessario replicare a Berlusconi. Diciamo che c’erano già prima segnali del fatto che questo Pd, in mano a questa classe dirigente, ormai non aveva più nulla a che fare con quello che Prodi aveva fatto e voleva, cioè l’Ulivo, il vero Partito democratico.

prodi lascia la politica

Se la sono cercata, secondo lei?

Se la sono cercata perché vari protagonisti di questi vent’anni, che ancora in qualche modo pretendono di influenzare le sorti del centrosinistra, non hanno mai creduto nel Partito democratico. E quindi, non avendoci mai creduto, hanno fatto di tutto per impedire che una certa idea della politica si affermasse, che una certa idea vera di Pd crescesse: diciamo quindi che hanno sempre tentato – purtroppo riuscendoci, con dei “falli da tergo” – di falciare quello che rappresentava di più il centrosinistra. Il paradosso, che è poi uno dei motivi delle sconfitte della sinistra in questi anni, è che il nostro elettorato è molto più “in fase” con Prodi che non con i dirigenti, che però lo hanno azzoppato e si sono cercati addirittura il rifiuto di Prodi di votare come cittadino. Perché l’8 dicembre è il cittadino che rifiuta di votare, non il mancato iscritto al Pd.

Lei in questa campagna congressuale si è schierato al fianco di Matteo Renzi: come vede dall’interno questa fase di un partito che a tratti sembra a un passo dall’implosione?

Io ho scelto da tempo Renzi perché è l’unico che possa aprire quel campo politico democratico largo che il terreno minimo su cui lavorare per costruire il vero centrosinistra, un campo che corrisponde all’idea dell’Ulivo e a quella iniziale del Pd. Matteo Renzi, al di là di posizioni specifiche e di aspetti della sua personalità, è l’unico che ha il potenziale politico di aprire questo spazio per tentare di ricostruire un nuovo Pd. Tornando al partito, da dentro vedo un processo in cui gli avversari di Matteo Renzi sono alacremente impegnati, di fatto, per ridurre questo campo e togliere legittimità e forza al processo che dovrà portarci all’8 dicembre.

Gianni Cuperlo

Cosa intende per riduzione del campo?

Il discorso degli antagonisti di Renzi, soprattutto di Gianni Cuperlo, è quello di ritracciare le linee della nostra identità, innanzitutto rinchiudendoci nel nostro castello e poi vedendo se prendere qualcosa dal borgo. Questo primo punto è chiaramente in linea con la tradizione Pci e molto lontano da quello che noi “ulivisti della prim’ora” abbiamo sempre voluto per il centrosinistra italiano. Secondariamente, è evidente che la drammatizzazione che lo stesso Cuperlo e tanti altri hanno fatto dei casi di tesseramento anomalo che sono dopo tutto isolati – parliamo di una dozzina di casi gravi rispetto alle migliaia di circoli in cui si è votato, episodi che vanno comunque sanzionati con durezza – è volta a togliere legittimità al processo. Credo che lo stratagemma sia stato utilizzato anche per evitare che tanta gente vada a votare l’8 dicembre.

Addirittura?

Ormai la sfida che chi sostiene Renzi deve affrontare non è tanto vincere contro chi, con Cuperlo (gli altri avversari mi sembrano abbastanza secondari) interpreta la visione un po’ più ortodossa del partito della sinistra, ma riuscire a mobilitare un numero sufficiente di persone per dire che c’è stata di nuovo una forte spinta popolare nella scelta del nuovo segretario.

Però si parte male: ci mancava anche la minaccia di scissione di Fioroni sulla questione Pse…

Già… sul dibattito sul Partito socialista europeo c’è stato un mix di improvvisazione, pregiudizi e, a mio modo di vedere, strumentalizzazioni.

beppe fioroni

Partiamo dall’improvvisazione.

E’ evidente che non è compito di questa segreteria prendere una decisione così significativa come quella di dire che uno dei primi atti della nuova segreteria, della campagna elettorale per le europee – cioè il primo test su cui si misurerà la nuova segreteria – sarà l’ospitalità del congresso del Pse a Roma.  Lo sanno tutti, o dovrebbero sapere tutti, che il rapporto con il Pse è ancora una questione aperta. Non è in questione avere un rapporto con quel partito, perché noi siamo suoi alleati al Parlamento europeo; si discute il “come”. Non credo che questa decisione possa essere varata da burocrati di partito ex Ds, la cui unica prospettiva europea è “come riusciamo a portare il partito nel Pse?”: io posso essere anche d’accordo a fare una grande alleanza con i socialisti, ma vorrei che fosse frutto di un dibattito, di discussione alle primarie. Vorrei che ci fosse un confronto tra i quattro candidati su questo, e non che si dica come decisione di routine “Ah, sapete che c’è? Ospitiamo il congresso del Pse a Roma”.

Passiamo ai pregiudizi.

E’ altrettanto evidente che l’ostilità al Pse da parte di alcuni è frutto di un pregiudizio: se vogliamo svolgere un ruolo in Europa, noi dobbiamo pensare di avere un rapporto col Pse, cercare anche con i laburisti e – secondo me – con i verdi, i liberali di sinistra di costruire una forza politica nuova in Europa. E’ chiaro che le forze politiche europee di oggi sono del tutto insufficienti e inadeguate, frutto più di inerzie novecentesche che di dinamiche del XXI secolo. E’ anche vero che questa realtà non si potrà certo fare con il Ppe; è difficile farlo, come alcuni propongono, con la sinistra in cui si trovano la spagnola Izquierda Unida o la sinistra greca anti-euro. Insomma, è in quel campo che dobbiamo lavorare.

epifani a letta manovra da cambiare 4 novembre 2013

Restano le strumentalizzazioni.

Una questione che per me è fondamentale per il futuro della politica tout court, non solo del Pd è dare alla politica una dimensione europea; diversamente la richiuderemo nella sua impotenza nazionale, apriremo portoni e autostrade ai populismi di vario tipo e la politica morirà. Quindi questa cosa va affrontata non per giochini interni, da una parte gli ex Ds che vedono l’approdo al Pse come un punto di arrivo del loro percorso e dall’altra alcuni popolari che si inventano l’ostilità al Pse o il loro ipercattolicesimo per darsi un’esistenza politica. Queste sono strumentalizzazioni che non hanno niente a che fare con l’importanza della scelta che dobbiamo compiere. Ma è evidente, come dicevo, che una segreteria che sa con certezza che non sarà più tale il 9 dicembre – visto che Epifani non è candidato e tanti dei membri non saranno nella nuova segreteria – non doveva prendere una decisione del genere senza dibattito.

Questa questione potrebbe avere riflessi sull’azione europea del Pd?

E’ chiaro che noi dobbiamo sostenere Martin Schulz, siamo alleati nello stesso gruppo ed è evidente che lo sosterremo come presidente della Commissione. Ma di qui a dire che organizziamo in due e due quattro, senza dibattito, il congresso del Pse a Roma in febbraio… ce ne corre. Preferirei che ci fosse un dibattito tra i quattro candidati su questo punto, così che i cittadini-elettori sappiano e possano votare anche su questo.

A questo punto, il Pd rischia di essere comunque una “materia instabile”, alla pari del Pdl?

Il Pd è di nuovo affetto da malafede e autolesionismo, che sembrano volere di nuovo impedire al partito di usare le primarie per costruire la sua coesione interna e un’alternativa politica per l’Italia, quando dall’altra parte abbiamo Vietnam e Afghanistan assieme… è questo lo stato in cui si trova il Pdl. Di fronte a questo, non dico che proponiamo la Libia, ma certamente uno scenario altrettanto instabile, mentre dovremmo invece dire: “Questa volta siamo pronti, abbiamo le idee e la gente, abbiamo la visione e la dirigenza nuova, dateci fiducia perché stavolta è ben risposta”. Altrimenti, anche di fronte al Vietnam afghano del Pdl rischiano di nuovo di non diventare davvero maggioranza nel paese.

Renzi

Se Renzi vincerà il congresso, che garanzie ci sono che non diventi un uomo o un gruppo solo al comando?

Eh, beh… innanzitutto io non vedo il rischio dell’uomo solo al comando: comunque il Pd è un partito grande e di difficile gestione, per cui vedo male un “uomo solo al comando” che possa gestire il Partito democratico. Io vedo un altro rischio, quello della “veltronizzazione” di Renzi: avere magari una maggioranza molto ampia l’8 dicembre, che però all’interno ha delle posizioni contraddittorie che rischiano di riemergere dal 9 dicembre in poi e rischiano di nuovo di offuscare la linea, il messaggio e rendere molto difficile la gestione del partito. Per questo ritengo che da qui all’8 dicembre Renzi debba fare scelte molto nette su alcuni punti e prendere una maggioranza su quelli: spero che non sia una maggioranza troppo grande, ma solida, e che da lì costruisca una nuova vera classe dirigente.

Come dovrebbe essere?

Non prendendo un rappresentante da tutti i gruppi e sottogruppi che l’hanno sostenuto o stando chiuso coi suoi fedelissimi, ma avendo il coraggio di dire: “Ho una leadership non più mediatica, ma confermata dal voto degli elettori: attorno costruisco una nuova classe dirigente”. Non quattro o cinque superfedeli, ma una cinquantina di persone che, con le loro competenze e coi loro meriti, con il consenso e la lealtà agli elettori, rappresentino davvero il cambio di passo di cui abbiamo un profondo bisogno. Perché si tratta di tenere in mano il partito principale d’Italia, ma soprattutto di candidarsi a guidare l’Italia.

Imparerà il Pd stavolta?

Certamente dipende dal nuovo segretario, e anche dalle donne e dagli uomini che saranno attorno al nuovo segretario. Di certo questa è l’ultima chiamata, non ce ne saranno altre.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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