Il vero dramma italiano, il tasso di inattività

Pubblicato il 6 Novembre 2013 alle 14:19 Autore: Gianni Balduzzi

 

I dati Istat sono ormai da anni un bollettino di guerra per l’economia italiana, e soprattutto per l’aspetto più sentito e delicato, quello occupazionale.
La disoccupazione ha toccato i propri massimi con il 12,5% di disoccupati. Disoccupati sugli attivi però, e qui casca l’asino, perchè in Italia questo dato è storicamente basso. Gli attivi sono coloro che o lavorano o cercano lavoro tra i 15 e i 64 anni, e coloro che lavorano formano il tasso di occupazione, calcolato sempre sul totale della popolazione tra i 15 e i 64 anni.

Il valore particolarmente basso di questi dati, ora siamo sul 63,6% per gli attivi e sul 55,4% per gli occupati, fa sì che il dato della disoccupazione non sia ancora peggiore di quel che sarebbe se avessimo una proporzione di attivi in linea con le medie europee, infatti moltissime persone semplicemente non cercano lavoro nonostante non l’abbiano. In particolare la nostra situazione non è migliore di quella di Paesi con tassi di disoccupazione ufficiale ben superiori, come la Spagna.
Vediamo dal seguente grafico come la disoccupazione italiana sia salita notevolmente negli ultimi anni di crisi, come quella spagnola, che però è molto superiore.

 

E tuttavia il tasso di inattività, ovvero persone che non lavorano e non cercano lavoro, è molto diverso. Possiamo vedere di seguito come il tasso in Spagna non solo sia più basso, ma sia anche sceso in modo netto, seguendo del resto un andamento naturale delle società che sia avviano verso la modernità, la stessa cosa sta avvenendo in Turchia, e il trend è proseguito negli anni di crisi, quando sempre più persone, pur non trovandolo, cercano un lavoro:

 

Tanto che prima di quest’anno (quando è del 1% superiore), il tasso di occupazione in Italia è sempre stato inferiore alla Spagna.
Sicuramente abbiamo un numero maggiore di casalinghe, di lavoratori in nero, spesso anche in attività della criminalità organizzata, di (falsi) invalidi, di persone, soprattutto giovani, che si affidano sui redditi di altri familiari e non vogliono occuparsi, e non da ultimo una proporzione maggiore di redditi provenienti da rendite, tutte condizioni molto più presenti che nel resto d’Europa e poco compatibili con lo status di economia moderna e avanzata.

Si tratta di un cambiamento culturale da effettuare che ha impatti economici, per non rimanere un Paese in cui tali distorsioni fanno sì che anche molti giovani e meno giovani chiedano l’indicizzazioni delle pensioni dei genitori e dei nonni che li mantengono, anche quelle di 1500-2000€ invece che minori tasse alle imprese che dovrebbero assumerli.

L'autore: Gianni Balduzzi

Editorialista di Termometro Politico, esperto e appassionato di economia, cattolico- liberale, da sempre appassionato di politica ma senza mai prenderla troppo seriamente. "Mai troppo zelo", diceva il grande Talleyrand. Su Twitter è @Iannis2003
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