Nucleare: su cosa si vota

Pubblicato il 11 Giugno 2011 alle 09:33 Autore: Francesca Petrini

Manca ormai pochissimo tempo e, come già avvenuto nel 1987, la normativa relativa alla produzione di energia da fonte nucleare torna ad essere oggetto di referendum abrogativo. Nel 1987 la partecipazione al voto fu alta, permettendo con facilità il raggiungimento del quorum, e molto alta fu pure la percentuale di voti favorevoli all’abrogazione, segnando per oltre un ventennio la chiusura della “stagione nucleare”. Proviamo quindi a riassumere, nei suoi punti essenziali, la vicenda lunga e tortuosa che ha investito la storia del quesito referendario sul nucleare, rispetto al quale tutti i cittadini sono chiamati ad esprimersi i prossimi 12 e 13 giugno.

Inizialmente, il quesito per l’abrogazione parziale di alcuni testi normativi recanti disposizioni in materia di energia e, in particolare, di localizzazione e costruzione di nuove centrali nel territorio nazionale italiano per la produzione di energia nucleare, indetto con decreto del Presidente della Repubblica del 23 marzo 2011, investiva:

  • la lettera d) del comma 1 dell’articolo 7, relativo alla “Strategia energetica nazionale”, del decreto-legge n. 112 del 2008, che prevedeva la possibilità di ricorrere alla realizzazione, sul territorio nazionale, di impianti di produzione di energia nucleare;
  • gli articoli 25 (contenente la delega al Governo in materia nucleare), 26 e 29 della legge n. 99 del 2009, relativo all’individuazione, realizzazione ed esercizio di impianti e attività nucleari;
  • l’articolo 133, comma 1, lettera o), del decreto legislativo n. 104 del 2010 sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di energia;
  • il decreto legislativo n. 31 del 2010, contenente riferimenti relativi alla disciplina della localizzazione, realizzazione ed esercizio  di impianti nucleari.

La Corte Costituzionale, pronunciandosi sul quesito come appena descritto, con sentenza n. 28 del 12 gennaio 2011, ha dichiarato ammissibile la richiesta di referendum popolare. La Corte ha rilevato che la richiesta referendaria non viola i limiti desumibili dall’interpretazione logico-sistematica della Costituzione, poiché le leggi delle quali chiede l’abrogazione non rientrano fra quelle per le quali detta norma esclude il ricorso all’istituto referendario, né si pone in contrasto con obblighi internazionali e, in particolare, con il Trattato istitutivo della Comunità europea dell’energia atomica (Euratom). Rimane infatti di competenza nazionale lo “stabilire il proprio mix energetico in base alle politiche nazionali in materia”, laddove la normativa Euratom impone solo, una volta che il legislatore nazionale abbia optato per l’energia atomica, misure e standard di garanzia per la protezione della popolazione e dell’ambiente. In definitiva, secondo la Corte, l’inesistenza di un preciso obbligo di realizzare o mantenere in esercizio impianti per la produzione di energia nucleare conduce ad escludere che la richiesta referendaria si ponga in posizione di contrasto con uno specifico obbligo derivante da convenzioni internazionali o da norme comunitarie. Relativamente poi ai requisiti di omogeneità, chiarezza e univocità del quesito, la Corte ha sottolineato che le disposizioni di cui si propone l’abrogazione, benché contenute in molteplici atti legislativi, sono tra loro strettamente connesse, in quanto tutte strumentali a permettere la costruzione o l’esercizio di nuove centrali nucleari. Il fine intrinseco del referendum consiste dunque nell’intento di impedire la realizzazione e la gestione di tali centrali, mediante l’abrogazione di tutte le norme che rendono possibile questo effetto, con la conseguenza che l’elettore può esprimersi su di una questione ben determinata nel contenuto e nelle finalità, con un semplice Sì o No. Secondo la Corte, il quesito, pur caratterizzato dalla tecnica del “ritaglio”, mira a realizzare un effetto di abrogazione puro e semplice della disciplina concernente la realizzazione e gestione di nuove centrali nucleari e, perciò, non ha il carattere della manipolatività, nel senso che mantiene il risultato dell’abrogazione negli spazi normativi della legge e la c.d. normativa di risulta non è quindi estranea al testo, ma riconducibile a una delle volontà ivi enunciate.

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L'autore: Francesca Petrini

Dottoranda in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparte, si è laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ed ha conseguito il titolo di Master di II livello in Istituzioni parlamentari per consulenti d´Assemblea.
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