I tre motivi dietro la nomina di Alfano

Pubblicato il 6 Giugno 2011 alle 08:40 Autore: Livio Ricciardelli
I tre motivi dietro la nomina di Alfano

Quel giorno è giunto. Il fondatore dell’idealtipo del partito-azienda, del movimentismo istituzionalizzato, e del superamento della forma partito di tipo tradizionale ha deciso di nominare un “segretario politico” del Pdl. Trattasi di Angelino Alfano, attuale ministro della giustizia, eletto all’unanimità dall’Ufficio di Presidenza del Pdl nuovo segretario della creatura politica berlusconiana. La nomina sarà ratificata entro la fine di giugno dal consiglio nazionale del partito e, solo a seguito della conferma della nomina, Alfano si dimetterà dalla guida del ministero di via Arenula. La nomina non ha portato ad un azzeramento del cosiddetto triumvirato che guidava il partito dalla fondazione nel 2009: Bondi, La Russa e Verdini restano dirigenti politici nazionali con specifiche deleghe. Bondi va alla “filosofia dei valori”, La Russa alla propaganda e Verdini all’organizzazione (ma non gli fate toccare gli enti locali, vi prego!). Ma la direzione politica del partito spetta ad Alfano e ovviamente al Presidente del Partito.

Come leggere questa nomina? Senz’altro sul piano formale si tratta di una novità di assoluto rilievo per il panorama politico italiano. Mentre per quanto riguarda il piano sostanziale bisognerà attendere quale spazio riuscirà a ritagliarsi, e quale spazio gli concederanno, il nuovo segretario politico.

Già il fatto che Alfano debba dimettersi dall’incarico di ministro è qualcosa da tenere d’occhio. E per nulla scontata. Nell’organizzazione precedente del partito in pochi avevano avuto da ridire sul doppio incarico, nel partito e nel governo, di Bondi e La Russa. Si trattava di una conduzione “leggera” del partito che non poteva che portare molto spesso alla coincidenza degli incarichi. Mentre invece la nomina di Alfano e l’obbligo delle dimissioni potrebbero ridisegnare i contorni e i rapporti del partito, compresa la sua struttura.

alfano

Non si tratta solo di una svolta nominalistica tesa a comprendere chi far sedere sulle bianche poltrone di “Porta a Porta” o chi far intervenire come speaker alla Camera nel dibattiti parlamentari importanti. Ma anche di una svolta politica di peso in primis nell’entourage berlusconiano. Berlusconi fu chiaro all’alba della vittoria elettorale del 2008 “12 ministeri a noi, 4 ad An, 4 alla Lega e 1 a Rotondi. Ma sia chiaro: devo controllare direttamente Economia, Esteri e Giustizia”. Insomma, sono finiti i tempi in cui si delegava ad un leghista come Castelli la guida del ministero della giustizia (anche se ovviamente il Cav. ci aveva parlato prima con l’esponente leghista, per fargli capire quali dovevano essere le sue principali “priorità” in materia di giustizia). E con l’addio di Alfano dal ministero si libera anche una casella importante per la politica berlusconiana. Insomma: lo stesso premier rischia nel far lasciare ad un suo fedelissimo una postazione chiave nell’esecutivo.

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L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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