Grasso e Boldrini: i tre motivi della loro candidatura

Pubblicato il 17 Marzo 2013 alle 15:53 Autore: Livio Ricciardelli

La mossa del centrosinistra di proporre Laura Boldrini alla presidenza di Montecitorio e Pietro Grasso a quella di Palazzo Madama si è dimostrata quanto mai azzeccata.

La migliore trovata possibile considerando la situazione in cui si trovava il Pd.

Dopo il naufragio della corresponsabilità, per quanto riguarda l’elezione dei presidenti delle camere, con Grillo e dopo l’esito negativo dell’asse con Monti, che non accettava altri nomi al di fuori del suo per la presidenza del Senato, al centrosinistra spettava il pallino del gioco.

I candidati per la presidenza della Camera e del Senato erano rispettivamente Dario Franceschini e Anna Finocchiaro, ovvero i due capigruppo uscenti del Pd a Montecitorio e Palazzo Madama.

L’elezione unilaterale di due esponenti del Pd si sarebbe rivelata come una mossa obbligata considerando l’impossibilità di stabilire altri assi con altre raggruppamenti politici. Convergenze quanto mai necessarie per la composizione di un qualsiasi governo in questa XVII legislatura.

A questo punto Bersani ha dunque voluto proporre due candidature che per quanto unilaterali consentissero, anche solo dal punto di vista mediatico, un ultimo disperato approccio nei confronti del Movimento Cinque Stelle. Per arrivare ad un governo Bersani sostenuto da Grillo.

Da qui i nomi della Boldrini e di Grasso.

Due personalità provenienti dalla cosiddetta “società civile”, non accusabili di essere parte dell”apparato” e figli di un allargamento dei partiti alla tradizione del civismo.

In questo modo Pierluigi Bersani ha centrato tre punti:

-In primo luogo sul fronte interno è riuscito ad evitare uno scontro nel partito con quelle sensibilità (i parlamentari vicini a Renzi e i cosiddetti Giovani Turchi) quanto mai scettiche nel proporre Finocchiaro e Franceschini alle presidenze.

-In secondo luogo sul fronte esterno con la candidatura di Pietro Grasso al Senato ha spinto alcuni esponenti del Movimento Cinque Stelle a votare per l’ex procuratore nazionale antimafia, in funzione anti-Schifani, ottenendo qualche voto in più nella situazione di profonda incertezza numerica di Palazzo Madama.

-Infine, nella prospettiva di un governo di “cambiamento” che Bersani intende guidare grazie alla collaborazione dei Cinque Stelle, il segretario del Pd lancia anche un messaggio a Grillo: faccio sul serio. E come ho voluto dare un segnale di “bella politica” e di radicale cambiamento in Parlamento intendo proseguire sulla stessa strada anche nella sfida del governo. Lo stesso fatto che, secondo indiscrezioni giornalistiche, si fosse presa in considerazione per la presidenza della Camera Marianna Madia confermava il disegno in atto: una mossa a sorpresa e di totale discontinuità. Anche se senza dubbio la candidatura Boldrini, col senno di poi, appare forse la più adatta nel lanciare quel ponte ai grillini anche solo per il fatto che si tratta di una parlamentare alla sua prima legislatura e senza tessere di partito in tasca.

Non è escluso che in futuro, considerando la strettissima strada che conduce verso un asse di governo Bersani-Grillo, qualcuno considererà la mossa di eleggere Grasso e la Boldrini una necessità che si fa virtù. Per certi versi anche un tentativo disperato di corteggiare un alleato che sembra ancora molto lontano dall’avvicinarsi al Pd.

Ma resta il bel messaggio di un partito che ha dato un segnale di apertura e non di chiusura.

Un assaggio di un modo di fare politica che rischia seriamente di non avere sbocchi per esprimersi.

L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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