Grillo: urla e potere

Pubblicato il 21 Febbraio 2013 alle 14:32 Autore: Federico De Lucia

Riempire le piazze è sempre stato facile in Italia, se lo strumento che si utilizza è l’odio nei confronti della classe politica, come sta facendo ora Grillo. Lo ha fatto Lauro negli anni ’50, lo ha fatto Bossi negli anni ’80, lo fa Berlusconi, più o meno esplicitamente, da vent’anni (oggi per la verità molto meno, ma solo perché c’è qualcuno più bravo di lui a farlo). Lo fece Mussolini, nel tempo del primo sorgere della democrazia di massa in questo Paese e, cogliendola sul vivo, mostrandone a tutti le evidenti inefficienze, la seppellì per un ventennio fra due ali di folla in tumultuoso giubilo.

Il populismo è un male italiano da sempre, anche da quando altrove pareva essere sconosciuto. In questi tempi di crisi delle democrazie esso prospera ovunque: da noi assume tratti patologici. Si può dire che faccia tendenza: se non spari almeno un paio di insulti al giorno alla casta non sei sufficientemente “cool” per ottenere una porzione del consenso popolare. Così, la casta stessa si auto-insulta quotidianamente. In questo turbine di male parole, la tentazione di dirne altre è troppo forte: l’esasperazione si autoalimenta e l’insulto diventa fenomeno di massa, direi quasi tratto culturale specifico.

Piazze piene, dunque, di insulti: tanto giustificati dalle costanti carenze della nostra classe dirigente, quanto piuttosto carenti dal punto di vista della proposta di governo concreta. Se proviamo a porci in quest’ottica, Grillo ha spesso manifestato idee estremiste. Uscire dall’euro, cancellare il debito, nazionalizzare le banche: tutte cose che quando il comico aveva il 3% urlava senza sosta e che, adesso, terrorizzato dalle stesse piazze che riesce a riempire, sussurra e ipotizza fra parentesi. Esistono precisi motivi sociali e culturali che hanno portato al trionfo di Mussolini, e precisi motivi sociali e culturali che hanno fatto il successo dell’accoppiata Berlusconi-Bossi. Quando tutti costoro hanno preso il potere, la loro proposta rivoluzionaria è svanita nel nulla. Certo, ciascuno di loro è riuscito a lasciare qualcosa di suo, ma nessuno ha attuato la rivoluzione che proponeva.

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La proposta rivoluzionaria di Grillo, dal punto di vista contenutistico, è molto, molto più vaga di quella che caratterizzava quei populismi: si offre agli italiani la possibilità di ottenere il potere ai danni di una casta brutta e cattiva, ma senza sapere poi esattamente cosa farne, di quel potere. Il fatto che Grillo abbia sensibilmente abbassato la voce sulle questioni richiamate prima dovrebbe far pensare chi lo sostiene: ha veramente intenzione di fare quello che dice sul versante economico, ovvero distruggere l’Unione Europea? Perché le cose vanno dette chiaramente, se si vuole governare. Marco Ferrando, del Partito Comunista dei Lavoratori, lo dice da anni, pur sapendo che ciò che dice vale meno dell’1% del consenso popolare. Se Grillo non parla più ad alta voce di quei temi, delle due l’una: o non ha veramente intenzione di attuare quei programmi (e quindi, come Mussolini, Bossi e Berlusconi prima di lui, si adeguerà nella sostanza al sistema che c’era prima, lasciandoci forse in eredità qualcosa di suo), oppure, come il più classico dei politici che lui tanto disprezza, mente sapendo di mentire. Fa propaganda elettorale, sollevato dal fatto di sapere che non sarà messo alla prova del governo. Anzi Grillo e tutti coloro che lo sostengono, sperano intensamente che a governare debba essere qualcun altro.

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