Sinistra. Vendola o Ingroia. Frattura Governo-Opposizione.

Pubblicato il 19 Febbraio 2013 alle 16:37 Autore: Federico De Lucia

La Sinistra radicale, nel primo quindicennio della Seconda Repubblica, è stata un rilevantissimo fattore della politica italiana. Del resto, era impossibile pensare che così non fosse, se si pensa che la caratteristica principale del sistema politico di questo Paese è stata, per l’intero cinquantennio postbellico, la presenza del maggiore partito comunista del mondo occidentale.

La nascita del bipolarismo di coalizione ha posto la sinistra radicale di fronte al dilemma fra la prospettiva di governo e quella d’opposizione.

Dilaniata da questo dubbio, dal 1994 essa ha dovuto farvi i conti con una cadenza costante, ovvero ad ogni elezione politica. È interessante dare una occhiata al passato recente per rendersi conto di quanto questo tema sia attuale nella bipartizione fra Vendola e Ingroia che oggi vediamo.

Nel 1994, sia i Verdi che Rifondazione Comunista parteciparono convintamente alla “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto, ottenendo complessivamente il 9% circa dei consensi. Nel 1996 Rifondazione scelse una collocazione autonoma, ma strinse un patto di desistenza con l’Ulivo, che gli permise di non perdere voti, ed anzi di guadagnarne, salendo da sola all’8,6% (cui si aggiunge il 2,5% dei Verdi).

La scelta di partecipare al primo Governo Prodi ha spaccato irrimediabilmente la sinistra italiana. La scissione di Cossutta e Diliberto ha certificato una divisione che oggi non è ancora stata sanata.

Nel 2001, di nuovo, Rifondazione Comunista sceglie una collocazione autonoma, ma ancora non si decide a fare lo strappo definitivo, non presentandosi nei collegi della Camera per avvantaggiare l’Ulivo (cosiddetto “patto di non belligeranza”).

Il blocco radicale si confermò al 9% complessivo, ma la evidente contrazione elettorale dell’ala massimalista fu decisiva per convincerla a tornare nell’alveo del centrosinistra in occasione delle elezioni del 2006. Il ritorno in massa in coalizione coincide con una nuova espansione elettorale, che porta Rifondazione, i Comunisti italiani e i Verdi al 10,2% complessivo.

Di nuovo la sinistra radicale italiana fallisce clamorosamente nella sua seconda prova di governo: si dimostra un alleato instabile e rissoso. Convivenza problematica che si traduce nella scelta della cosiddetta “sinistra riformista” di lasciare la sinistra radicale fuori dalla coalizione di Veltroni nel 2008. È la debacle: PRC, PDCI, Verdi e Sinistra democratica (i diessini contrari alla nascita del PD) si fermano ad un misero 3,1%, che li esclude dal Parlamento per la prima volta nella loro storia.

Quindi, un’area politica oscillante attorno al 10% dell’elettorato italiano è riuscita a mantenere questa quota di consensi sino a quando è rimasta in qualche modo agganciata alla coalizione di centrosinistra.

Sia nel 1996 che nel 2001, anche coloro che assunsero una posizione autonoma e oppositiva, non si decisero mai a recidere del tutto i cordoni, consapevoli delle nefaste conseguenze cui questo avrebbe portato.

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