Bocciati e ripescati: le decisioni sui simboli dei partiti

Pubblicato il 20 Gennaio 2013 alle 22:32 Autore: Gabriele Maestri

Niente da fare per i ricorsi della Lega Nord contro “Prima il Nord” (che sarà pure una denominazione di cui è titolare il partito, ma sul piano elettorale non interessa) e del Partito Pensionati contro i Pensionati e invalidi – Giovani insieme (la parola «Pensionati» è generica e non può essere appannaggio di una sola forza politica). Respinto il ricorso di Marco Lucio Papaleo, che aveva presentato l’emblema di Grande Sud (senza coalizioni) prima del depositante “ufficiale” Pippo Fallica (che aveva precisato la coalizione con il centrodestra), come pure quello delle tre Democrazie cristiane, che rivendicavano il loro diritto a partecipare con il loro contrassegno alle elezioni: per i giudici non erano rilevanti le sentenze sulla base delle quali ciascuna (la Dc-Pizza con Francesco Mortellaro, la Dc di Gianni Fontana e Alessandro Duce come ultimo segretario amministrativo della Dc “storica”) riteneva di avere titolo a usare quel simbolo, bensì il fatto che l’Udc è presente in Parlamento con lo scudo crociato da due legislature e i suoi elettori non meritano di essere confusi a questo giro. Opposizione respinta anche per il Movimento sociale italiano – Destra nazionale di Gaetano Saya (presieduto dalla moglie Maria Cannizzaro), sulla cui continuità con il “vecchio” Msi c’è molto di cui dubitare.

Se questo è il contenuto delle decisioni dell’Ufficio elettorale centrale nazionale – decisioni che, come ho detto all’inizio, accolgono integralmente le valutazioni già svolte dai funzionari del Viminale – ancora più interessante è analizzare i contrassegni che sono stati sostituiti, per vedere in concreto come sono state applicate le norme. Se, com’è stato detto, il simbolo più insidioso per il MoVimento 5 Stelle (quello presentato da Massimiliano Foti) è definitivamente escluso, hanno accettato di modificare il loro emblema altre tre formazioni: il Partito dei cittadini ha reso visibile il nome della candidata Fabiola Stella (prima scritto in giallo, mentre il cognome era molto evidente) e ha cancellato il «5°» che sormontava le altre parti testuali; la lista Voto di protesta – Diritto alla dignità ha cancellato la dicitura «BEPPEciRILLO.IT» e l’ha sostituita senza problemi con il T’ai Chi T’u, la rappresentazione dello yin e dello yang (e meno male, a questo punto, che non si è presentato Scilipoti…); Renzo Rabellino, infine, nella sua No Euro – Lista del grillo parlante ha accettato di ingrandire sensibilmente il termine «parlanti», poiché il Viminale non ha ritenuto sufficientemente distintivo l’uso del termine «grilli» rispetto al contrassegno del MoVimento 5 Stelle depositato in precedenza.

Per rimanere in tema di confondibilità, l’altro simbolo storicamente legato a Rabellino, Lega Padana, è stato riammesso dopo aver tolto dalla parte inferiore del contrassegno i disegni delle bandiere di Piemonte, Lombardia e Friuli: ciò probabilmente per evitare la confusione con l’Unione padana di Giulio Arrighini, che in quella stessa posizione aveva la croce di San Giorgio della bandiera lombarda (il fatto che non sia stata toccata l’espressione letterale, invece, mostra che per i funzionari del Viminale questa non creava problemi). Quanto ai due disegni di falce e martello ricusati in un primo tempo, il Partito comunista (già Comunisti sinistra popolare) di Marco Rizzo ha scelto di colorare in grigio lo sfondo prima bianco e di togliere invece il colore giallo al disegno dei due attrezzi (per scongiurare la somiglianza col simbolo – senza effetto – di Rifondazione comunista); è invece bastato “svuotare” il disegno degli utensili, lasciando solo il contorno rosso, per riammettere l’emblema dei Proletari comunisti italiani (considerato confondibile con il Partito comunista dei lavoratori, mentre la sigla Pci non è stata toccata).

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L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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