Four more years, la nuova squadra di Barack Obama

Pubblicato il 8 Novembre 2012 alle 18:41 Autore: Daniele Curcio
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Turnover alla Casa Bianca. Dopo neanche 48 ore dalla storica riconferma per un secondo mandato, Barack Obama si trova a dover affrontare le annunciate dimissioni di buona parte della sua squadre di governo.

Pochi minuti dopo l’annuncio della vittoria del Presidente contro Mitt Romney, la segreteria di stato ha confermato con un comunicato ufficiale la decisione di Hillary Clinton di lasciare l’incarico di “ministro degli esteri”. Sono passate poche ore e la stessa decisione è stata comunicata dal ministro del tesoro Timothy Geithner, ex presidente della FED di new York, fortemente criticato dal partito repubblicano e non solo per la sua gestione della crisi finanziaria.

Se le dimissioni ufficiali sono solo due, molte sono le voci che si rincorrono in queste ore su quali altri ministri sarebbero pronti a lasciare il loro posto. Sembra sicura la rinuncia da parte di Steven Chu, stimato premio Nobel per la fisica e ministro per l’energia, tanto voluto da Barack Obama nel 2008. Chu pagherebbe la sua “disgraziata” decisione di investire soldi pubblici nell’azienda di energie rinnovabili Solyndra. Fu proprio il fallimento dell’azienda a mettere in pericolo le chance di rielezione del Presidente, non più di dieci mesi fa.

Sembrano già firmate le dimissioni di una serie di altri ministri da Eric Holder, attorney general e ministro della giustizia, a Janet Napolitano ministro della sicurezza interna, la quale sembrerebbe intenzionata a ritornare in Arizona, stato della quale è stata governatrice, per sfidare John McCain per il suo seggio al Senato nel 2016.

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Non sembra essere intenzionato a continuare neanche il ministro dell’Interno Ken Salazar, ispanico molto stimato da entrambi i partiti, il quale sembra voler tornare in Colorado per accettare un incarico in una azienda privata e prendersi cura del suo nipote autistico. E non è da escludere nemmeno un’altra illustra rinuncia, quella di Leon Panetta al Pentagono che sembra essere stufo di fare il pendolare fra Washington e la California, dove ancora risiede.

Davanti ad una così lunga lista di ministri in partenza, Barack Obama dovrà inevitabilmente e rapidamente chiedersi chi potrebbero essere i loro successori ed alcuni nomi già circolano fra gli “insider” e i lobbisti a Washington D.C.

Partendo dalla segreteria di stato sembra che a sostituire Hillary Clinton possa essere colui che era stato ad un passo dalla nomina nel 2008: il senatore del Massachusetts ed ex candidato presidente del partito democratico contro George W. Bush, John Kerry. Dalla sua parte sicuramente il ruolo importante giocato in campagna elettorale, dove ha interpretato il ruolo di Mitt Romney nella preparazione per i dibattiti presidenziali. Tuttavia, la paura degli strateghi del partito democratico è che la sua nomina, e successiva rinuncia al seggio senatoriale del Massachusetts, possa spalancare nuovamente le porte di Capitol Hill a Scott Brown, recentemente sconfitto nel suo “re-election bid” dall’eroina liberal Elizabeth Warren.

L’altro nome “sussurrato” per Foggy Bottom sarebbe quello dell’ambasciatrice alle Nazioni Unite, afroamericana molto stimata dal Presidente, Susan Rice. Mentre Kerry però potrebbe essere facilmente confermato in Senato anche grazie all’appoggio dell’ala più moderata del partito repubblicano, lo stesso non si può dire della Rice, la quale è vista dal GOP e dall’opinione pubblica come la principale responsabile della débâcle di Bengasi. Cosa deciderà Barack Obama? La linea del dialogo con l’opposizione nominando Kerry, o il muro contro muro preferendogli la Rice?

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L'autore: Daniele Curcio

Studente in Economia e Business Internazionale alla Università Bocconi di Milano, è appassionato di politica Americana sin da giovane. Durante i suoi numerosi viaggi negli Stati Uniti ha avuto modo di approfondire i suoi studi nel settore. Consigliere di Municipio nel Comune di Brescia dal 2008. Caporedattore della sezione Esteri di Termometro Politico, sezione americhe e english version
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