La Sarajevo di Dzevad Karahasan, centro del mondo globalizzato

Pubblicato il 20 Settembre 2012 alle 13:37 Autore: EaST Journal
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La distruzione di una magia, di un equilibrio fra relazioni e opposizioni all’interno della città simbolo del mondo intero. Di questo scrive Dzevad Karahasan ne Il centro del mondo. Scrive della sua Sarajevo assediata e distrutta dalla ferocia dell’Esercito popolare Jugoslavo. Scrive per mettere ordine al caos di quei mesi, come si legge nella prefazione di Slavenka Drakulice per salvare almeno il ricordo di quella città che ha significato per secoli “vita comune di nazioni, religioni e convinzioni diverse”.

Karahasan non racconta il suo “dramma personale ma il dramma della distruzione sistematica di una società multietnica e culturalmente pluralista. È convinto che questa sia la causa della guerra; quando le diverse parti della Jugoslavia formano degli stati nazione nei Balcani questa diversità non può essere accettata: deve essere distrutta”. L’autore individua una speciale relazione fra il luogo, la città, e gli uomini che vi abitavano, grazie alla quale convivono assieme l’elemento locale e quello universale: in quella Sarajevo le peculiarità delle tradizioni cattoliche, ortodosse, islamiche e quelle austroungariche, turche e bosniache si mescolano, convivono e allo stesso tempo si rafforzano. In virtù di questa commistione la città diventa una metafora del mondo intero: un “luogo in cui i diversi volti del mondo si sono raccolti in un punto come in un prisma si concentrano i raggi di luce dispersi”.
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Sarajevo diventa metafora del mondo anche attraverso una lettura “geografica” della sua struttura. All’interno della scala della città si possono infatti individuare le stesse dinamiche che, su scala globale, caratterizzano, appunto, la globalizzazione: in entrambi i casi “l’universale e il particolare, l’aperto e il chiuso, l’interno e l’esterno, si riflettono continuamente l’uno nell’altro”. Assistiamo da un lato a processi di unificazione culturale e dall’altro a spinte alla differenziazione. Su scala globale questo rimarcare le diversità diventa di volta in volta valorizzazione delle caratteristiche peculiari di un popolo, di una regione, di una cultura (come nella Sarajevo in “tempi di pace”) o esasperazione delle differenze, fucina di conflitti (come per i processi che hanno portato alla distruzione della capitale bosniaca): sono due facce dello stesso fenomeno. Karahasan sintetizza così questo dualismo: “Il rapporto essenziale fra gli elementi del sistema è la tensione che gli oppone (…) ogni tessera entra nella struttura del sistema arricchita di nuove particolarità senza abbandonare quelle che già possedeva”.

L’autore, inoltre, individua alcune entità fisiche che simboleggiano la doppia tendenza all’uniformazione e alla differenziazione. La struttura stessa della città spiega il modo trovato dai Sarajile per convivere: “Il centro commerciale della città, la Carsija si stende sul fondo pianeggiante della conca, mentre intorno, sulle pendici delle montagne, sono cresciuti i quartieri dove la gente abita che si chiamano mahale. In questo modo il centro è doppiamente separato dal mondo: dalle montagne che circondano la città e dalle mahale”, formando così un microcosmo in cui c’è, in realtà, tutto il mondo.

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L'autore: EaST Journal

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