Recensione a “I riluttanti” di Carlo Galli

Pubblicato il 3 Agosto 2012 alle 11:20 Autore: Giacomo Bottos
carlo galli

E’ uscito di recente per Laterza il libro di Carlo Galli “I riluttanti. Le élites italiane di fronte alla responsabilità“. L’autore insegna Storia delle dottrine politiche presso l’Università di Bologna ed uno studioso attento del pensiero politico, nonché uno dei massimi esperti italiani di Carl Schmitt.

Il tema su cui si sofferma il libro è un’analisi delle caratteristiche delle élites italiane, affrontata da una prospettiva storica, all’interno della quale però emergono alcuni modelli ricorrenti o ciclici che, pur attraverso molteplici variazioni, tendono a ripresentarsi nella storia nazionale. Si tratta quasi sempre di forme di inadeguatezza o di imperfezione che derivano innanzitutto dal rifiuto di assumere il ruolo a loro spettante nella società non solo in termini di privilegio, ma anche di responsabilità, declinando i loro interessi all’interno di una prospettiva più vasta di interesse nazionale.

Bisogna innanzitutto dire qualcosa sul termine élite. L’autore lo impiega in un senso vasto che include tanto le élite politiche quanto quelle imprenditoriali, i ceti intellettuali quanto parte del mondo delle professioni, rifuggendo così dalle letture semplicistiche che tendono a concentrare la loro critica unicamente sulla classe politica. Non solo, ma l’autore suggerisce come la stessa antipolitica sia una caratteristica profonda e di lungo corso delle stesse élite, che può manifestarsi in diversi modi: nello scetticismo del principe di Salina nel Gattopardo, nel distacco dell’intellettuale “tradizionale”, nell’affarismo particolaristico del “faccendiere” o del “notabile” locale, negli atteggiamenti “eroici” o “populistici” di un intellettuale alla D’Annunzio. Il populismo politico consente alle élites di non confrontarsi con le proprie responsabilità, “nascondendosi” dietro a personaggi spettacolari, vistosi e inconcludenti, potendo così continuare indisturbate a dedicarsi ai propri affari e al proprio disimpegno.

carlo galliQuesta costante viene illustrata attraverso una ricognizione storica di lungo corso, che ha inizio con Machiavelli e arriva fino ai giorni nostri. Si passa per l’Unità d’Italia la quale, pur essendo effettivamente un fenomeno progressivo, rappresentò l’attuazione di un disegno politico concepito e condiviso solamente da una ridottissima minoranza, alla quale si affiancarono assai meno illuminate élites di notabili locali che rivestirono della retorica nazionale la stessa prassi particolaristica pre-unitaria, secondo quella nichilistica saggezza italica del “bisogna che tutto cambi perché niente cambi”. Il principio particolaristico tendo poi ad estendersi anche a livello nazionale dando origine a una figura che avrà molta fortuna nella nostra storia nazionale: quella del faccendiere, inteso come intermediario di interessi e poteri più o meno occulti che, con la loro azione tendono a svuotare di significato il Parlamento e gli organi politici. E’ dunque l’impotenza della politica, che trae origine dall’antipoliticismo delle élites, la causa profonda del suo discredito.
A questa impotenza, che si aggrava con l’avvento della politica di massa verso l’inizio del Novecento, non si risponde con una riforma reale, ma con soluzioni scenografiche e spettacolari: prima con l’eroismo d’annunziano e poi con il populismo carismatico mussoliniano, sostanzialmente appoggiato dalle classi dirigenti.

Qualcosa cambia con l’avvento della Prima Repubblica, quando i partiti politici, allora realmente di massa, consentono una partecipazione di una larga fascia di cittadini alla politica e garantiscono un ampio ricambio delle classi dirigenti, che, almeno nel primo trentennio post-bellico, includono numerosi personaggi di grande spesso, in ambito politico, economico e culturale. Tuttavia progressivamente questa spinta riformatrice interna ai Partiti viene meno, dando origine a forme di degenerazione del sistema. Anche in questa forma di degenerazione Galli ravvisa un fenomeno ciclico, che propone di inquadrare in una grande periodizzazione, per cui, nella storia dello Stato italiano, a lunghi periodi in cui viene introdotto un nuovo sistema dotato di una spinta propulsiva che progressivamente scema (il nuovo Stato unitario e la Prima Repubblica) succede una nuova “forzatura istituzionale” (il fascismo e il berlusconismo) che cerca di prolungare la sopravvivenza del sistema ormai degenerato attraverso l’impostazione di una nuova configurazione di carattere populistico. Al fallimento di questo tentativo ventennale segue una fase di crisi che dà origine a un nuovo sistema progressivo.

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L'autore: Giacomo Bottos

Nato a Venezia, è dottorando in filosofia a Pisa, presso la Scuola Normale Superiore. Altri articoli dell’autore sono disponibili su: http://tempiinteressanti.com Pagina FB: http://www.facebook.com/TempiInteressanti
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