Usa 2010: Analisi del voto

Pubblicato il 4 Novembre 2010 alle 10:32 Autore: Andrea Mollica
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Le elezioni di metà mandato hanno confermato le aspettative della vigilia. Il partito del presidente arretra quasi sempre alle midterm…

e l’attesa sconfitta democratica è diventata una disfatta a causa del pessimo stato dell’economia e della diffusa inquietudine di un Paese che si sente in crisi da molti anni.

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Alla Camera i repubblicani hanno guadagnato più di 60 seggi, un incremento di proporzioni storiche. Era dal 1928 che la delegazione congressuale del Gop non era così ampia. A livello nazionale il partito del nuovo Speaker John Boehner ha ottenuto circa il 52, 53%, poco meno di setti punti percentuali in più rispetto ai democratici. Un simile distacco avrebbe dovuto portare ad un incremento di seggi più contenuto, ma la tendenza conservatrice dei distretti congressuali marginali ha reso molto efficiente la distribuzione del consenso repubblicano. Tra i democratici sono state sconfitti molti rappresentati storici, tra i quali ben tre presidenti di commissione. La classe 2008 arrivata alla Camera grazie al trionfo obamiano è stata quasi del tutto cancellata. Il partito del presidente è uscito letteralmente massacrato nei collegi della Florida, della Pennsylvania e dell’Ohio, mentre gli esponenti moderati che rappresentavano distretti rurali o suburbani, i cosiddetti Blue Dog, hanno subito una vera e propria emorragia nonostante campagne elettorali dai toni apertamente conservatori.  Le maggiori difficoltà per il partito di Obama si sono concentrate al Sud e nel Midwest, la prima l’area del Paese più conservatrice, la seconda la zona dove la crisi economica è sentita in modo più acuto.

 

Al Senato la competizione è stata più articolata, anche se l’ottima performance repubblicana è stata replicata. Nessun mandato del Gop è passato ai democratici, e nei seggi aperti che a inizio campagna elettorale erano sembrato competitivi, come Kentucky, Missouri, New Hampshire e Ohio, il successo repubblicano è stato netto oltre ogni aspettativa. Il partito di Obama ha perso sei seggi, tre in Stati conservatori come Arkansas, North Dakota e Indiana, e altrettanti in Stati più progressisti come Wisconsin, Illinois e Pennsylvania. In queste tre competizioni i margini di vittoria sono stati più contenuti rispetto alle stime della vigilia, grazie ad una parziale ma alla fine non sufficiente mobilitazione della base democratica. I tre Stati appartengono alla cosiddetta cintura industriale, e l’alta disoccupazione è stato probabilmente il fattore decisivo che ha spinto gli indipendenti verso l’opposizione. Il centrosinistra statunitense ha invece confermato i seggi di California, Colorado, Nevada , Washington e West Virginia. Nei primi tre il fattore decisivo sembra essere stato il voto degli ispanici, mentre in West Virginia la campagna del popolare governatore Manchin ha dimostrato quanto conti un buon candidato. Fattore confermato anche dai fallimentari risultati ottenuti dagli esponenti più celebri del Tea Party, che è andato molto bene alla Camera, dove il voto è più influenzato dalla tendenza nazionale, ma è andato male al Senato con le nette sconfitte di Christine O’Donnell, Sharron Angle e Joe Miller.

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