Il default di uno Stato: quando un paese fallisce e quali sono le cause

Pubblicato il 16 Febbraio 2021 alle 12:44 Autore: Claudio Garau
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Il default di uno Stato: quando un paese fallisce e quali sono le cause

Non di rado capita di leggere, nelle notizie di cronaca estera, che uno Stato straniero si trovi in una situazione di default. Chi però non fa uso quotidiano della terminologia giuridico-economica, potrebbe non comprendere appieno qual è il significato da darsi all’espressione ‘default di uno Stato’. Qui di seguito ci proponiamo dunque di chiarire che cosa si deve intendere per default di uno Stato, quando si può parlare di fallimento e quali sono le cause che lo producono. Facciamo chiarezza.

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Default di uno Stato: che cos’è in concreto?

Sgomberiamo subito il campo da ogni possibile dubbio: quando uno Stato fallisce, o va in default, si trova nell’oggettiva condizione di essere insolvente verso i propri creditori. Certamente infatti anche i Paesi possono avere delle pendenze, proprio come i privati cittadini e gli imprenditori.

In buona sostanza, uno Stato va in default quando non riesce ad onorare i propri debiti: ciò però potrebbe sembrare strano a chi ritiene che, per risolvere il problema dell’esposizione debitoria, un certo Paese possa stampare nuova moneta.

Il punto è che, dal lato pratico, detta operazione potrebbe rivelarsi impossibile se sussiste un regime di cambio fisso. In queste circostanze, infatti, la Banca Centrale dovrebbe utilizzare le proprie riserve di valuta per conservare il cambio, con il pericolo che esse vengano meno.


Inoltre, emettendo liberamente nuova moneta, potrebbero aversi notevoli oscillazioni del tasso di cambio con conseguenti fughe di capitali. In buona sostanza, il conseguente incremento dell’inflazione abbasserebbe il potere d’acquisto della valuta del Paese sul piano internazionale, con la conseguenza di creare un danno notevole alle imprese locali.

Quali sono le cause del default di un Paese?

Gli esperti di economia hanno individuato ben otto possibili ragioni del fallimento di uno Stato, tanto da non avere più i mezzi per ripagare i propri debiti. Vediamo in sintesi quali sono:

  • fallimenti precedenti: ossia se un Paese ha già dichiarato default almeno una volta, è tecnicamente più probabile che succeda ancora (proprio come il caso dell’Argentina);
  • basse entrate fiscali e conseguente scarso aumento delle risorse di liquidità a disposizione dello Stato;
  • indebitamenti poco accorti: in queste circostanze, i prestiti sono concessi a Paesi che non hanno effettive capacità di ripagarli in futuro, ma che danno tassi d’interesse più alti proprio per attirare i creditori;
  • incremento progressivo dei tassi d’interesse, il quale permette di ottenere finanziamenti con più facilità, ma al contempo aumenta i costi del debito in modo progressivo anno dopo anno;
  • rischio di rollover, ossia la situazione per la quale – a fronte della difficoltà oggettive di ripagare i creditori – lo Stato indebitato ricorre ad un rifinanziamento del debito. Come dire: creare nuovi debiti al fine di ripagare quelli già sussistenti;
  • inversione dei flussi di capitale, dovuti solitamente al fallimento di uno o più istituti di credito;
  • eccessivo indebitamento estero, ossia se il debito è in valuta estera, possono aversi problemi legati alle cosiddette oscillazioni dei tassi d’inflazione;
  • utilizzo del debito per spesa improduttiva: in altre parole, quando all’incremento del debito non corrisponde un proporzionato aumento del PIL.

Quali sono le conseguenze del fallimento di uno Stato?

Il problema del default di uno Stato ha radici antiche. Un tempo, infatti, l’inadempimento in relazione ai propri obblighi e il mancato rimborso del denaro prestato, conduceva non di rado ad una crisi diplomatica tra Stato debitore e Stati creditore, se non addirittura ad un conflitto bellico. Per esempio, nel 1902 Italia, Germania e GB diedero luogo all’embargo nei confronti del Venezuela. Da rimarcare tuttavia che, oggi, la carta delle Nazioni Unite impedisce ritorsioni diplomatiche e belliche verso tutti gli Stati insolventi.

Nei tempi odierni, la conseguenza maggiore del default di uno Stato è data dall’impossibilità di avere nuovamente accesso al credito. Le norme vigenti in materia però consentono agli Stati insolventi di intraprendere trattative mirate alla ristrutturazione del debito con i propri creditori, attraverso l’intermediazione di organizzazioni come il Fondo Monetario Internazionale.

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Concludendo, tra i casi di default di uno Stato, più significativi dal punto di vista storico, possiamo qui citare i 4 fallimenti della Spagna di Filippo II, legati all’aumento eccessivo delle spese militari ed al crollo dei prezzi dell’oro; e il caso degli USA a fine ‘700, i quali intesero non pagare più i debiti verso la Francia, giustificando ciò con il fatto di essersi indebitati con il regno francese e non con la Repubblica della Rivoluzione.

Più recentemente, non si può non fare riferimento al caso dell’Argentina, risultata ben 9 volte insolvente negli ultimi due secoli e, soprattutto, la Grecia, la quale ha grandemente patito i risultati di una finanza pubblica disastrosa. Infatti, per colpa della crisi del 2007 e di quella del 2012 i tassi d’interesse sul debito divennero insostenibili e lo Stato ellenico ha così saltato il rimborso di circa 1,5 miliardi di euro a favore del FMI.

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L'autore: Claudio Garau

Laureato in Legge presso l'Università degli Studi di Genova e con un background nel settore legale di vari enti e realtà locali. Ha altresì conseguito la qualifica di conciliatore civile. Esperto di tematiche giuridiche legate all'attualità, cura l'area Diritto per Termometro Politico.
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