Canone affitto azzerato o ridotto causa lockdown: chi non deve pagarlo?

Pubblicato il 24 Novembre 2020 alle 15:29 Autore: Claudio Garau
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Canone affitto azzerato o ridotto causa lockdown: chi non deve pagarlo?

La pandemia e il lockdown globale, che per ragioni di tutela della salute ne è originato, hanno portato a conseguenze socio-economiche tangibili per tutti. Tra le categorie di lavoratori più colpite dalla situazione emergenziale degli ultimi mesi non possono non essere citati gli esercenti attività commerciali, di ristorazione e di somministrazione di cibi e bevande. Insomma, come ben sappiamo, sono purtroppo tantissimi i gestori di negozi, bar e locali vari, che hanno dovuto abbassare le saracinesche per l’obbligo di serrata legato alle misure restrittive decise dall’Esecutivo. Ora però, detti lavoratori trovano l’appoggio di vari tribunali che, con più sentenze – tutte dello stesso tenore – hanno riconosciuto a loro favore, o l’azzeramento del canone affitto o la sua riduzione. Vediamo più nel dettaglio.

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In buona sostanza, il principio che si può cogliere dalla più recente giurisprudenza in tema di lockdown e pagamento canone affitto per gli esercenti attività in un locale, è che va applicato l’esonero del pagamento delle mensilità del canone affitto, in considerazione del fatto che il bene immobile, ovvero di fatto il locale usato per l’attività lavorativa, è stato reso inutilizzabile per divieto imposto in via autoritativa dal Governo.

Ecco allora che i tantissimi ricorsi arrivati in tribunale in questi ultimi tempi, sono stati accolti dai magistrati che hanno infatti ordinato lo stop del pagamento canone affitto, oppure una sensibile riduzione della quota mensile, prevista contrattualmente tra proprietario ed affittuario.

D’altronde, ragioni di logica e di solidarietà sociale spingono, in qualche modo, a dette conclusioni dei giudici, che hanno infatti fatto cadere l’obbligo del pagamento del canone affitto, anche in considerazione del crollo del volume di affari per la stragrande maggioranza di negozi, bar, ristoranti ed altre attività commerciali sparse sul territorio nazionale. Ed è stato negato lo sfratto per mancato pagamento del canone affitto nei confronti di chi – in veste di ristoratore o di esercente attività commerciale – durante il lockdown ha ricevuto ingenti danni economici, tali da non poter onorare l’obbligo di affittuario. Secondo la giurisprudenza, infatti, l’azione esecutiva cui si collega lo sfratto sarebbe contraria ad un principio che trova fondamento direttamente in Costituzione, ovvero quello di solidarietà tra le parti.

Ma anche una diversa ed ulteriore motivazione è stata utilizzata dai giudici, al fine di applicare la riduzione o azzeramento del canone affitto: infatti, giuridicamente parlando, i contenuti dell’accordo da cui è seguìto il rapporto di affitto tra le parti, sono da rispettarsi finchè condizioni e presupposti che hanno portato alla sottoscrizione delle parti, permangono inalterate. Pertanto, un evento imprevisto ed imponderabile come la pandemia, da cui è seguita la decisione del Governo che ha disposto il lockdown, ben giustificano il provvedimento giudiziario che impedisce di incassare il canone affitto.

Ricordiamo, tra gli altri, l’emblematico e recente caso deciso dal Tribunale civile di Venezia, che ha dato ragione ad una società che si occupa di affitti turistici nel centro storico della città veneta, nell’ambito di una causa che la opponeva all’azienda proprietaria dell’immobile, che invece pretendeva il pieno pagamento dei canoni e aveva domandato di azionare la polizza fidejussoria di garanzia. Ebbene, con queste inequivocabili parole si è espresso il giudice: “Il canone va ridotto considerato che è contrario a buona fede oggettiva richiederlo a cifra piena in uno scenario, a detta degli economisti, vicino soltanto a quello di vicende belliche“, aggiungendo che “E’ evidente che, nello scenario di una Venezia spopolata e in “quarantena”, ben reso noto al mondo dai mass media, anche solo opinare che fosse possibile una qualche forma di utilizzazione economica delle unità immobiliari suddette è un fuor d’opera“.

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Concludendo, dall’ordinanza del giudice del Tribunale di Venezia, si può dedurre facilmente che in casi analoghi, aventi ad oggetto bar o ristoranti, le considerazioni da farsi saranno le stesse. Pertanto, se non vi sono clienti per lockdown e coprifuoco, è praticamente impossibile concepire comunque l’uso dell’immobile affittato, anche solo come magazzino. Quanto basta, insomma, a giustificare l’azzeramento o la riduzione del canone affitto.

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L'autore: Claudio Garau

Laureato in Legge presso l'Università degli Studi di Genova e con un background nel settore legale di vari enti e realtà locali. Ha altresì conseguito la qualifica di conciliatore civile. Esperto di tematiche giuridiche legate all'attualità, cura l'area Diritto per Termometro Politico.
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