Lavoro subordinato e co.co.co: quali differenze e cosa cambia

Pubblicato il 17 Novembre 2020 alle 13:25 Autore: Claudio Garau
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Lavoro subordinato e co.co.co: quali differenze e cosa cambia

Il diritto del lavoro è costituito da tante espressioni tecniche, il cui esatto significato potrebbe sfuggire ai più. Ad esempio, la distinzione tra lavoro subordinato e co.co.co., ovvero la collaborazione coordinata e continuativa, potrebbe non essere facilmente individuabile. Cogliere la differenza è invece essenziale per non rischiare di trovarsi in spiacevoli situazioni, in cui chi lavora, ha sottoscritto un contratto co.co.co., ma nel concreto svolge un lavoro subordinato a tutti gli effetti, e senza le relative tutele. Una trappola che è meglio evitare. Vediamo dunque di seguito come non confondere lavoro subordinato e co.co.co e quando a quest’ultimo sono applicate le garanzie del lavoro subordinato.

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Lavoro subordinato e tutele: i tipi di contratto di lavoro

Come accennato, nella prassi dei rapporti di lavoro, non è raro imbattersi in soluzioni contrattuali che rendono meno oneroso il contratto per il datore di lavoro, a discapito però dei diritti e delle tutele del lavoratore. Tanti i casi pratici in cui il contratto di collaborazione esterna nasconde il lavoro alle dipendenze più classico: di ciò spesso si è occupata la magistratura, giacchè le cause del lavoro, che hanno a che fare con il lavoro subordinato ‘mascherato’ da un contratto co.co.co, sono finalizzate a ribadire le tutele del lavoratore, contro l’elusione delle norme in materia.

I contratti co.co.co. hanno subito una sostanziale modifica alla luce del D.L. n. 101 del 2019, convertito con la legge n. 128 dello stesso anno. In questo nuovo quadro normativo, abbiamo la riforma del Jobs Act al fine di prevedere una disciplina ad hoc relativa ai fattorini, i cosiddetti rider e tutti i soggetti che lavorano servendosi di piattaforme digitali. Proprio di contratto riders abbiamo parlato recentemente, domandandoci se si tratta di lavoro autonomo o subordinato. Oggi, la collaborazione coordinata e continuativa ha quindi una nuova veste, circa i requisiti e i presupposti.

Tuttavia permane invariato il principio generale per il quale, se una collaborazione ha una certa ‘fisionomia’, al lavoratore vanno applicate comunque le regole e le tutele del lavoro subordinato.

Capire come distinguere co.co.co. e lavoro subordinato implica però di ricordare, anzitutto, quali sono le tipologie di contratto di lavoro previste dalle legge. Esse sono tre e riguardano:

  • un rapporto di lavoro autonomo in senso stretto: è il caso del libero professionista come l’avvocato, l’architetto o anche l’artigiano;
  • un rapporto di lavoro subordinato, detto anche dipendente;
  • un rapporto di lavoro autonomo parasubordinato, ovvero la co.co.co., che qui ci interessa. Quest’ultimo a sua volta si distingue in:
    • versione tradizionale, la quale comporta che i CCNL stipulati dai sindacati nazionali principali dispongano discipline peculiari sui trattamenti dal lato economico e dal lato normativo, sulla scorta degli obiettivi di produzione e di organizzazione nel settore di riferimento;
    • versione etero-organizzata, che prevede le stesse tutele e gli stessi diritti del lavoro dipendente.

La co.co.co etero organizzata: i 3 requisiti-chiave

Abbiamo appena ricordato un elemento essenziale: alla parasubordinazione etero-organizzata viene estesa la disciplina di maggior tutela prevista per il lavoro subordinato o dipendente tout court. E’ chiaro l’intento di proteggere il lavoratore da comportamenti elusivi delle norme, da parte del datore di lavoro.

Ma affinchè possa applicarsi la disciplina del lavoro dipendente, debbono sussistere contemporaneamente quelli che sono i requisiti della co.co.co etero-organizzata, che permettono dunque di distinguere detto contratto da un lavoro dipendente in senso stretto. Eccoli di seguito:

  • la prestazione deve essere continuativa nel corso del tempo, non sporadica. In buona sostanza, anche laddove permanga l’interesse del committente-datore di lavoro allo svolgersi della prestazione in modo ripetuto nel tempo, si potrà intuire che la prestazione è continuativa e non episodica. Quindi anche un’attività discontinua potrà presentare comunque questo requisito;
  • la prestazione deve essere svolta secondo istruzioni, modalità e regole definite dal committente. Pertanto, si potrà parlare di una sorta di inserimento del collaboratore nell’organizzazione aziendale: queste le parole usate dalla Corte di Cassazione;
  • la prestazione deve essere a carattere prevalentemente personale, ovvero nella prassi è anche ammessa l’eventuale clausola contrattuale che prevede la sostituzione occasionale del collaboratore, per quanto riguarda lo svolgimento della prestazione. Anche il supporto di un terzo soggetto, nell’esecuzione della prestazione, non fa venir meno il requisito della ‘personalità’ della prestazione.

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Così inquadrata, la etero-organizzazione presenta i requisiti idonei per far sì che il lavoratore riceva la stessa tutela prevista per i lavoratori subordinati in senso stretto, senza che il datore di lavoro possa contestare alcunchè circa la citata estensione della tutela.

Per ulteriori approfondimenti, rimandiamo alla dettagliata circolare n. 7 del 2020 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

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L'autore: Claudio Garau

Laureato in Legge presso l'Università degli Studi di Genova e con un background nel settore legale di vari enti e realtà locali. Ha altresì conseguito la qualifica di conciliatore civile. Esperto di tematiche giuridiche legate all'attualità, cura l'area Diritto per Termometro Politico.
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