Richiesta danni e perdita di “chance”: di cosa si parla

Pubblicato il 29 Ottobre 2020 alle 18:33 Autore: Alessandro Milanetti

Danno e “chance” giuridicamente tutelabile

Figura di elaborazione giurisprudenziale, il danno da perdita di “chance” si innesta su una pluralità di situazioni concrete meritevoli di risarcimento economico.

Per “chance” deve intendersi una situazione nella quale un individuo detiene un’occasione concreta, attuale ed effettiva di conseguire, per il futuro, un determinato bene della vita o un determinato vantaggio di natura patrimoniale.

La perdita di “chance” costituisce a sua volta una possibile voce risarcitoria che, come evidenziato dalla Suprema Corte, va identificata non nella perdita del risultato, ma nella perdita della possibilità di conseguirlo; dunque, oggetto del risarcimento è la “chance” perduta, non il danno effettivo già materialmente apprezzabile.

Per poter risarcire la perdita di “chance” occorre che venga accertata la ragionevole probabilità dell’esistenza di suddetta “chance”, anche utilizzando elementi presuntivi.

Differenza risarcimento e indennizzo: cosa cambia e quando scattano

Esempi di danno da perdita di “chance”

La perdita delle possibilità di “far carriera”; la perdita di possibilità di ottenere risultati sportivi; la perdita della stipula di un contratto con la pubblica amministrazione

Un ambito all’interno del quale senza dubbio è possibile individuare un danno da perdita di “chance”, è quello degli incidenti stradali.

Laddove un soggetto infortunato subisca, suo malgrado, una menomazione tale da comprometterne le possibilità di miglioramento nel mondo del lavoro, egli potrà rivendicare il ristoro della “chance” perduta, ma sempre che suddetta “chance” fosse concreta ed effettiva.

Occorre che l’istruttoria sia interpretata in base ad un criterio prognostico, basato sulle concrete e ragionevoli possibilità di risultati utili.

Ecco, dunque, che è stato riconosciuto senz’altro il diritto a veder ristorare un danno da perdita di “chance” per un lavoratore investito da un autoveicolo, non potendo più l’infortunato dar seguito ad un progresso di carriera professionale, come invece avrebbe potuto in assenza del trauma derivante dal fatto illecito.

Un’altra fattispecie nella quale senz’altro può applicarsi il principio della perdita di “chance”, è l’infortunio sportivo del quale soffre un atleta professionista, per non poter prender parte a competizioni di livello superiore, a causa della menomazione patita in seguito ad un evento lesivo.

In ambito di contenzioso con la pubblica amministrazione in tema di appalti, soccorre il disposto dell’art. 124 del codice del processo amministrativo, laddove viene statuito che l’accoglimento della domanda di conseguire l’aggiudicazione ed il contratto per la prestazione di servizi o l’erogazione di beni, così come previsto dalla p.a., è comunque condizionato alla dichiarazione di inefficacia del contratto; in difetto di tale declaratoria d’inefficacia, il giudice dovrà disporre il risarcimento del danno “per equivalente”, subito e provato dalla parte illegittimamente esclusa da un’aggiudicazione di appalto pubblico.

Più nello specifico, nel caso di esclusione dalla gara, al fine di ottenere il risarcimento del danno da perdita di “chance”, occorre fornire prova certa in ordine alla circostanza che l’offerta del concorrente illegittimamente escluso sarebbe stata quella che avrebbe comportato l’attribuzione dell’aggiudicazione al concorrente medesimo, di modo che questi si vede privato sia del “lucro”, derivante dall’esecuzione del contratto, sia dell’acquisizione di un elemento curriculare positivo, da far valere in ulteriori e successive procedure di gara.

La procreazione a l’aspettativa legittima di famiglia

Molto delicato è il tema della perdita di “chance” allorquando, a causa di un errore medico o di un evento traumatico, una donna incinta purtroppo perde il bambino che stava per nascere.

La gravidanza è un argomento spinoso, oggetto di interpretazioni artistiche sublimi e molto profonde dal punto di vista degli spunti di riflessione psicologica.

L’opera “Speranza” di Gustav Klimt del 1903, custodita ad Ottawa presso la “National Gallery of Canada”, rivela un messaggio metafisico molto profondo.

Da un lato, si erge in primo piano la figura di una donna incinta, completamente nuda e con una corona di fiori in testa.

Pur dimessa, con un fisico emaciato e dai toni malinconici, ella esprime la promessa di una nuova vita, simboleggiata da un ventre prominente, del tutto sproporzionato rispetto alla magrezza del fisico della giovane.

Dall’altro lato campeggia uno sfondo tetro, su cui si innestano tre personaggi probabilmente di sesso femminile, ma deformati nei lineamenti, oltre ad un teschio sintomo delle forze distruttive della morte; lateralmente, una figura mostruosa nera avviluppa le caviglie della donna, quasi a rivendicarne il possesso.

È un presagio tra l’esplosione vitale della nascita ed un inquietante fardello, presente sin dal venire in vita, costellato da tetri presagi per il futuro terreno del neonato.

L’essere umano ha sempre prestato la massima attenzione alla fase della gravidanza della donna.

Come evidenzia la psicanalisi, si tratta di un periodo di mutamento, biologico e psicologico, particolarmente delicato, durante il quale la donna trascorre veri e propri conflitti interiori, emozioni molto intense ed impulsi affettivi ambivalenti.

Si congettura che durante la gestazione della donna avvenga una sorta di regressione, come la riattivazione di una memoria “peri-natale” di tipo inconscio della propria nascita e del rapporto instaurato con la propria madre.

La personalità della donna è chiamata a risolvere un compromesso psichico, trovando un bilanciamento tra la propria identificazione nel feto che sta crescendo e che sta per venire alla luce, da un lato, e la propria identificazione con la madre, la vita e l’educazione ricevuta nella fanciullezza, dall’altro lato.

La Cassazione sulla perdita di “chanche” per feto nato morto

Certo è che ogni ingiusta conseguenza dannosa possa derivare in capo ad una donna in stato di gravidanza, laddove sia il risultato di un fatto illecito doloso o colposo, debba trovare un risarcimento dal punto di vista giuridico.

La Corte di Cassazione, riprendendo il concetto sopra sviluppato di danno da perdita di “chance”, si è occupata pochi giorni fa del caso di un feto nato morto in conseguenza ad un errore da negligenza medica.

Con l’Ordinanza 22859 del 20 ottobre 2020, la Sezione Terza Civile ha evidenziato che nel caso di feto nato morto è ipotizzabile “il venir meno di una relazione affettiva potenziale (che, cioè, avrebbe potuto instaurarsi, nella misura massima del rapporto genitore figlio, ma che è mancata per effetto del decesso anteriore alla nascita)”.

Ebbene, in tali casi, attesa la specialità dell’evento lesivo in capo alla donna partoriente, è legittimo da parte dei giudici di merito superare anche i valori risarcitori propri delle tabelle di danno, dando adeguatamente conto in motivazione delle circostanze specifiche proprie del caso singolo.

In suddette evenienze, infatti, deve trovare applicazione il principio secondo cui in tema di danno non patrimoniale, qualora il giudice, nel soddisfare esigenze di uniformità di trattamento su base nazionale, proceda alla liquidazione equitativa in applicazione delle tabelle, nella specie quelle predisposte dal Tribunale di Milano, nell’effettuare la necessaria personalizzazione del risarcimento in base alle circostanze del caso concreto, può superare i limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti dalle dette tabelle quando la specifica situazione presa in considerazione si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto, in quanto elaborato in astratto in base all’oscillazione ipotizzabile in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l’“id quod plerumque accidit”.

Dunque, il danno da perdita di “chance” conseguenziale alla nascita di un feto purtroppo già morto, è materia nella quale le personalizzazioni delle poste risarcitorie consentono un ampio spettro di considerazioni, che possono andare ben oltre gli standard risarcitori prefissati nelle tabelle di risarcimento del danno.

Il danno da perdita di “chance” nel mondo del diritto.

La “chance” giuridicamente tutelabile

Figura di elaborazione giurisprudenziale, il danno da perdita di “chance” si innesta su una pluralità di situazioni concrete meritevoli di risarcimento economico.

Per “chance” deve intendersi una situazione nella quale un individuo detiene un’occasione concreta, attuale ed effettiva di conseguire, per il futuro, un determinato bene della vita o un determinato vantaggio di natura patrimoniale.

La perdita di “chance” costituisce a sua volta una possibile voce risarcitoria che, come evidenziato dalla Suprema Corte, va identificata non nella perdita del risultato, ma nella perdita della possibilità di conseguirlo; dunque, oggetto del risarcimento è la “chance” perduta, non il danno effettivo già materialmente apprezzabile.

Per poter risarcire la perdita di “chance” occorre che venga accertata la ragionevole probabilità dell’esistenza di suddetta “chance”, anche utilizzando elementi presuntivi.

Esempi di perdita di “chance”: la perdita delle possibilità di “far carriera”; la perdita di possibilità di ottenere risultati sportivi; la perdita della stipula di un contratto con la pubblica amministrazione

Un ambito all’interno del quale senza dubbio è possibile individuare un danno da perdita di “chance”, è quello degli incidenti stradali.

Laddove un soggetto infortunato subisca, suo malgrado, una menomazione tale da comprometterne le possibilità di miglioramento nel mondo del lavoro, egli potrà rivendicare il ristoro della “chance” perduta, ma sempre che suddetta “chance” fosse concreta ed effettiva.

Occorre che l’istruttoria sia interpretata in base ad un criterio prognostico, basato sulle concrete e ragionevoli possibilità di risultati utili.

Ecco, dunque, che è stato riconosciuto senz’altro il diritto a veder ristorare un danno da perdita di “chance” per un lavoratore investito da un autoveicolo, non potendo più l’infortunato dar seguito ad un progresso di carriera professionale, come invece avrebbe potuto in assenza del trauma derivante dal fatto illecito.

Un’altra fattispecie nella quale senz’altro può applicarsi il principio della perdita di “chance”, è l’infortunio sportivo del quale soffre un atleta professionista, per non poter prender parte a competizioni di livello superiore, a causa della menomazione patita in seguito ad un evento lesivo.

In ambito di contenzioso con la pubblica amministrazione in tema di appalti, soccorre il disposto dell’art. 124 del codice del processo amministrativo, laddove viene statuito che l’accoglimento della domanda di conseguire l’aggiudicazione ed il contratto per la prestazione di servizi o l’erogazione di beni, così come previsto dalla p.a., è comunque condizionato alla dichiarazione di inefficacia del contratto; in difetto di tale declaratoria d’inefficacia, il giudice dovrà disporre il risarcimento del danno “per equivalente”, subito e provato dalla parte illegittimamente esclusa da un’aggiudicazione di appalto pubblico.

Più nello specifico, nel caso di esclusione dalla gara, al fine di ottenere il risarcimento del danno da perdita di “chance”, occorre fornire prova certa in ordine alla circostanza che l’offerta del concorrente illegittimamente escluso sarebbe stata quella che avrebbe comportato l’attribuzione dell’aggiudicazione al concorrente medesimo, di modo che questi si vede privato sia del “lucro”, derivante dall’esecuzione del contratto, sia dell’acquisizione di un elemento curriculare positivo, da far valere in ulteriori e successive procedure di gara.

La procreazione a l’aspettativa legittima di famiglia. Dal mondo dell’arte a quello del diritto

Molto delicato è il tema della perdita di “chance” allorquando, a causa di un errore medico o di un evento traumatico, una donna incinta purtroppo perde il bambino che stava per nascere.

La gravidanza è un argomento spinoso, oggetto di interpretazioni artistiche sublimi e molto profonde dal punto di vista degli spunti di riflessione psicologica.

L’opera “Speranza” di Gustav Klimt del 1903, custodita ad Ottawa presso la “National Gallery of Canada”, rivela un messaggio metafisico molto profondo.

Da un lato, si erge in primo piano la figura di una donna incinta, completamente nuda e con una corona di fiori in testa.

Pur dimessa, con un fisico emaciato e dai toni malinconici, ella esprime la promessa di una nuova vita, simboleggiata da un ventre prominente, del tutto sproporzionato rispetto alla magrezza del fisico della giovane.

Dall’altro lato campeggia uno sfondo tetro, su cui si innestano tre personaggi probabilmente di sesso femminile, ma deformati nei lineamenti, oltre ad un teschio sintomo delle forze distruttive della morte; lateralmente, una figura mostruosa nera avviluppa le caviglie della donna, quasi a rivendicarne il possesso.

È un presagio tra l’esplosione vitale della nascita ed un inquietante fardello, presente sin dal venire in vita, costellato da tetri presagi per il futuro terreno del neonato.

L’essere umano ha sempre prestato la massima attenzione alla fase della gravidanza della donna.

Come evidenzia la psicanalisi, si tratta di un periodo di mutamento, biologico e psicologico, particolarmente delicato, durante il quale la donna trascorre veri e propri conflitti interiori, emozioni molto intense ed impulsi affettivi ambivalenti.

Si congettura che durante la gestazione della donna avvenga una sorta di regressione, come la riattivazione di una memoria “peri-natale” di tipo inconscio della propria nascita e del rapporto instaurato con la propria madre.

La personalità della donna è chiamata a risolvere un compromesso psichico, trovando un bilanciamento tra la propria identificazione nel feto che sta crescendo e che sta per venire alla luce, da un lato, e la propria identificazione con la madre, la vita e l’educazione ricevuta nella fanciullezza, dall’altro lato.

La Cassazione sulla perdita di “chanche” per feto nato morto

Certo è che ogni ingiusta conseguenza dannosa possa derivare in capo ad una donna in stato di gravidanza, laddove sia il risultato di un fatto illecito doloso o colposo, debba trovare un risarcimento dal punto di vista giuridico.

La Corte di Cassazione, riprendendo il concetto sopra sviluppato di danno da perdita di “chance”, si è occupata pochi giorni fa del caso di un feto nato morto in conseguenza ad un errore da negligenza medica.

Con l’Ordinanza 22859 del 20 ottobre 2020, la Sezione Terza Civile ha evidenziato che nel caso di feto nato morto è ipotizzabile “il venir meno di una relazione affettiva potenziale (che, cioè, avrebbe potuto instaurarsi, nella misura massima del rapporto genitore figlio, ma che è mancata per effetto del decesso anteriore alla nascita)”.

Ebbene, in tali casi, attesa la specialità dell’evento lesivo in capo alla donna partoriente, è legittimo da parte dei giudici di merito superare anche i valori risarcitori propri delle tabelle di danno, dando adeguatamente conto in motivazione delle circostanze specifiche proprie del caso singolo.

In suddette evenienze, infatti, deve trovare applicazione il principio secondo cui in tema di danno non patrimoniale, qualora il giudice, nel soddisfare esigenze di uniformità di trattamento su base nazionale, proceda alla liquidazione equitativa in applicazione delle tabelle, nella specie quelle predisposte dal Tribunale di Milano, nell’effettuare la necessaria personalizzazione del risarcimento in base alle circostanze del caso concreto, può superare i limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti dalle dette tabelle quando la specifica situazione presa in considerazione si caratterizzi per la presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non possa aver già tenuto conto, in quanto elaborato in astratto in base all’oscillazione ipotizzabile in ragione delle diverse situazioni ordinariamente configurabili secondo l’“id quod plerumque accidit”.

Dunque, il danno da perdita di “chance” conseguenziale alla nascita di un feto purtroppo già morto, è materia nella quale le personalizzazioni delle poste risarcitorie consentono un ampio spettro di considerazioni, che possono andare ben oltre gli standard risarcitori prefissati nelle tabelle di risarcimento del danno.

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L'autore: Alessandro Milanetti