Licenziamento dipendente: ecco quando è vietato dalla legge

Pubblicato il 29 Ottobre 2020 alle 12:08 Autore: Claudio Garau
Licenziamento dipendente: ecco quando è vietato dalla legge

Licenziamento dipendente: ecco quando è vietato dalla legge

Più volte ci siamo soffermati sull’argomento del licenziamento dipendente, ovvero il recesso unilaterale da parte del datore di lavoro, attraverso cui si interrompe anzitempo il rapporto di lavoro con uno o più lavoratori. Qui di seguito, onde evitare ogni possibile dubbio in merito, vogliamo porre l’attenzione sulle ipotesi per le quali il licenziamento dipendente è vietato espressamente dalle norme del diritto del lavoro. Facciamo chiarezza.

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Licenziamento dipendente vietato: il contesto di riferimento

Come abbiamo già notato altrove, le regole in tema di licenziamento sono piuttosto rigorose e prevedono ipotesi tassative in cui può scattare il citato recesso unilaterale. In altre parole, la legge non ammette un generico diritto di licenziare, per i motivi più disparati, se non addirittura futili. Deve almeno sussistere un valido motivo, ossia o ragioni tecnico/produttive/organizzative dell’azienda, oppure deve essere stato commesso un illecito disciplinare, da parte del lavoratore che si intende mandare via.

Ma non solo: il licenziamento dipendente va reso noto al diretto interessato, in forma scritta, con una lettera ad hoc ben motivata. E in caso di licenziamento per ragioni disciplinari, la legge garantisce al lavoratore di potersi difendere dalle accuse mosse nei suoi confronti, come abbiamo già notato qui.

Non bisogna dimenticare che frequentemente le condotte che portano al licenziamento dipendente di ambito disciplinare trovano espressa menzione nel CCNL di riferimento o anche nel regolamento aziendale. Assai diverse le situazioni, intollerabili da parte dell’azienda, che danno luogo al licenziamento disciplinare: tra esse, a titolo d’esempio, ricordiamo qui la falsa malattia, lo scarso rendimento e il mobbing nei confronti di uno o più colleghi.

Non soltanto è previsto il rispetto delle regole per licenziare qualcuno, ma anche la legge vigente illustra alcune specifiche ipotesi nelle quali non si può dar luogo al licenziamento dipendente, e se invece così fosse, il giudice – in caso di contestazione – dovrebbe dichiararlo nullo – ovvero come mai avvenuto – con provvedimento. Di nullità del licenziamento si parla anche nei casi di comunicazione orale dello stesso o di assenza dei validi motivi che lo rendono necessario. Vediamo dunque quando il licenziamento dipendente è vietato dalla legge.

Quando il licenziamento è vietato dalle norme in materia

A questo punto, ricostruiamo schematicamente il quadro in cui il licenziamento dipendente è vietato esplicitamente dalla legge e dalle norme del diritto del lavoro, tanto che se fosse comunque deciso, sarebbe da considerare nullo e quindi improduttivo di effetti:

  • licenziamento vietato in ipotesi di maternità: la donna con contratto di lavoro subordinato, non può essere licenziata dall’inizio del periodo di gravidanza e fino al primo anno di età del figlio. La legge in proposito utilizza una presunzione, giacchè intende la gravidanza come realizzata 300 giorni prima della data presunta del parto, prevista nel certificato di gravidanza. Anche il padre è tutelato contro il licenziamento, poichè si avvale del cd. congedo di paternità, per tutta la durata dello stesso e fino ad un anno di età del figlio. Analogamente, la legge vieta il licenziamento dipendente che sia conseguenza dalla domanda o dell’utilizzo, da parte del genitore lavoratore, del cd. congedo parentale o del congedo per malattia del figlio;
  • licenziamento dipendente vietato in caso di matrimonio: la legge impedisce il licenziamento – altrimenti nullo – anche in caso di matrimonio della donna lavoratrice, tranne se si tratta di lavoratrici dei servizi domestici e familiari. In buona sostanza, il datore di lavoro non può fondare il licenziamento sul fatto che una sua dipendente si è sposata. Anzi se lo facesse, si tratterebbe di recesso unilaterale nullo, presumendosi la nullità se il licenziamento è stato deciso nel lasso di tempo che decorre dalla richiesta della pubblicazione civile di matrimonio fino a dodici mesi dopo l’effettiva celebrazione. Si potrà parlare di legittimo licenziamento dipendente, in tale periodo, soltanto per tassative motivazioni come, ad esempio, la risoluzione del rapporto per scadenza del termine, la cessazione dell’attività aziendale o la colpa grave della dipendente;

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  • licenziamento vietato in ipotesi di malattia: la legge – come forse non pochi sapranno – prevede il divieto di licenziare il dipendente che si trovi in stato di malattia, garantito dal certificato medico che attesta la condizioni di salute che non permettono di recarsi al lavoro. Ciò vale a favore del lavoratore, a meno che non si provi – in caso di contestazione – che alla base sussiste una condotta colpevole del dipendente, relativa alla fase pre-malattia o alla fase della malattia. In queste circostanze, il dipendente a riposo e convalescente, dovrà agevolare la guarigione e dovrà fare attenzione a rispettare le fasce orarie della visita fiscale da parte dei medici Inps, di cui abbiamo già parlato più nel dettaglio qui con riferimento al cambio indirizzo. Ma dovrà anche ricordare che in base alla regole del periodo di comporto, il periodo di malattia che impedisce il licenziamento dipendente non è infinito: scaduto il comporto, può scattare il licenziamento, così come stabilito dai CCNL di riferimento.

Concludendo, si può ben notare come la materia del licenziamento sia dettagliatamente regolata dal legislatore, onde evitare ipotesi di recesso senza adeguata giustificazione o comunque pregiudizievole di quelli che sono i diritti del lavoratore.

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L'autore: Claudio Garau

Laureato in Legge presso l'Università degli Studi di Genova e con un background nel settore legale di vari enti e realtà locali. Ha altresì conseguito la qualifica di conciliatore civile. Esperto di tematiche giuridiche legate all'attualità, cura l'area Diritto per Termometro Politico.
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