Licenziamento. Quando i presupposti? entro quanto la contestazione?

Pubblicato il 24 Settembre 2020 alle 18:20 Autore: Alessandro Milanetti

Dal postino amico di Van Gogh agli inadempimenti meritevoli di licenziamento “in tronco”. Panoramica su presupposti e tempi di contestazione

Licenziamento. Quando i presupposti? entro quanto la contestazione?

Licenziamento. Quando i presupposti? entro quanto la contestazione?

Il Museum of Fine Arts di Boston custodisce l’opera “Il postino Joseph Roulin” realizzata nel 1888 da Vincent Van Gogh.

L’artista olandese ritrae fedelmente un addetto allo smistamento della corrispondenza della stazione ferroviaria di Arles in Provenza, con il quale il Maestro strinse un rapporto di amicizia sincera.

L’opera ci mostra la figura imponente dell’uomo, in berretto ed uniforme delle poste, con una posa serena ma umile e tendente ad una malinconia di fondo.

Il lavoro degli addetti alla corrispondenza, sebbene incessante, permane sempre nell’ombra, mai partecipando dei contenuti della miriade di lettere che si prendono in custodia e che vengono portate a destinazione, restandone ignoti trasportatori in quella che diventa una routine infinita di presa in consegna, smistamento e recapito sul territorio delle epistole.

Mansioni, quelle del postino, che richiedono particolare cura ed attenzione, onde assicurare la consegna tempestiva della corrispondenza, garantendo nel frattempo la segretezza delle lettere e dei plichi affidati alla propria professionalità.

Lo scorso 22 settembre la Cassazione è intervenuta proprio su di un caso di licenziamento di un postino, più in particolare, di una signora avente mansioni di portalettere.

Licenziamento. Quando i presupposti? entro quanto la contestazione?

Quest’ultima venne licenziata per giusta causa, avendole la società contestato di aver abbandonato, omettendo di consegnarle, un notevole quantitativo di missive chiuse, da recapitare a privati nella zona assegnatale quale portalettere.

Un inadempimento, quelle contestato alla lavoratrice, che appare in tutta evidenza una condotta di grave negazione degli elementi costituenti il contratto di lavoro, ed in particolare dell’elemento della fiducia, che deve continuamente sussistere tra il dipendente e la propria controparte datoriale.

Si rammenta, a tal riguardo, che giurisprudenza costante della Suprema Corte pretende, nella valutazione dell’inadempimento posto in essere dal prestatore di lavoro e meritevole della sanzione espulsiva per giusta causa, la verifica circa la natura e la qualità del rapporto di lavoro, la posizione delle parti, il grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché la portata soggettiva dei fatti stessi, ossia le circostanze del suo verificarsi, i motivi e l’intensità dell’elemento intenzionale e di quello colposo e ad ogni altro aspetto correlato alla specifica connotazione del rapporto che su di esso possa incidere negativamente.

Verificando il ruolo della portalettere, è evidente che l’abbandono consapevole della posta affidata non può che determinare una violazione delle regole di comportamento, talmente grave da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario con la datrice di lavoro.

Ed è sulla base di tale presupposto che veniva strutturata la Sentenza n. 19845 dello scorso 22 settembre 2020, resa dalla Sezione Lavoro della Cassazione.

Il concetto di “immediatezza” della contestazione datoriale

Sia evidenziato che sebbene lesivo del vincolo fiduciario, il comportamento posto in essere dal lavoratore deve essere oggetto di contestazione circostanziata da parte del datore di lavoro, tramite rilievi disciplinari immediati.

Per “immediatezza” la giurisprudenza vuol intendere che la censura datoriale di una condotta del lavoratore ritenuta illecita, deve avvenire a distanza di un breve spazio temporale, decorrente dall’intervenuta circostanziata conoscenza degli accadimenti da parte del datore di lavoro.

Risulta ovvio che solamente nel momento in cui ne abbia acquisito specifica contezza, il datore di lavoro è in grado di valutare la condotta del proprio dipendente, eventualmente decidendo di aprire un procedimento disciplinare ai danni di quest’ultimo.

I Supremi Giudici in reiterate occasioni hanno evidenziato che il principio della “immediatezza” della contestazione deve essere interpretato in senso relativo, ben potendo essere compatibile con un lasso di tempo più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda un periodo maggiore, o quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare l’iniziativa datoriale.

Ebbene, nel caso che vedeva protagonista in negativo la portalettere licenziata, quest’ultima riusciva ad ottenere conseguenze più miti a livello sanzionatorio per la propria condotta illecita, proprio perché la società datrice di lavoro perveniva alla contestazione degli addebiti, pur gravi nel merito, con un colpevole ritardo.

Le conseguenze dell’illegittimità del licenziamento irrogato al dipendente

Verificata, dunque, la tardività della contestazione datoriale, il Tribunale dichiarava l’illegittimità del licenziamento per giusta causa comminato alla dipendente, per violazione dell’art. 7 della Legge n. 300  del 1970 in relazione all’assenza del requisito dell’immediatezza della contestazione.

Conseguentemente, veniva ordinato alla società di reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro (la cosiddetta tutela reale).

Sia brevemente evidenziato che in caso di grandi imprese (come è senz’altro quella esercente il servizio postale) la reintegra del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo oggi permane solamente in alcuni casi specifici: più in particolare, deve essere dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore; in quest’evenienza il datore di lavoro è dunque condannato a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro e al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali; il lavoratore iniquamente licenziato ha ulteriore diritto di percepire un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R. e corrispondente al periodo che va dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegra; a tale indennità va dedotto sia quanto percepito dal lavoratore per lo svolgimento di altre attività lavorative (il cosiddetto “aliunde perceptum”), sia le somme che il lavoratore avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro; l’indennità non può comunque superare le 12 mensilità di retribuzione.

Ebbene, accertando la tardività della contestazione mossa verso la portalettere, il Tribunale la considerava come “inesistente”, provvedendo dunque ad applicare la tutela reale della lavoratrice.

Così però non ragionava la Corte d’Appello.

Quest’ultima, investita del reclamo da parte della società, confermava la tardività della contestazione dell’addebito, ma ha riteneva di applicare una semplice tutela indennitaria.

La Corte d’Appello inoltre riteneva che il fatto contestato alla lavoratrice non fosse “inesistente” (come dedotto dal Tribunale), ma risultasse provato nella sua materialità.

Trattandosi di condotta che faceva venir meno il vincolo di fiducia che deve sorreggere il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, peraltro idonea ad arrecare danni patrimoniali ed all’immagine della datrice di lavoro, oltre che danni all’utenza destinataria della corrispondenza, i giudici d’appello non confermavano la reintegra.

Essi si limitavano a condannare la parte datoriale al pagamento, in favore della dipendente licenziata, di una indennità risarcitoria quantificata in sedici mensilità di retribuzione, tenuto conto dell’anzianità della lavoratrice e delle dimensioni dell’impresa.

Questa pronuncia aveva conseguenze molto importanti dal punto di vista concreto, poiché la dipendente era chiamata ad una restituzione di somme eccedenti, già versatele dalla datrice di lavoro, e non più dovute.

Per questo la portalettere ricorreva davanti ai Supremi Giudici, invocando l’applicazione della tutela reale, attesa l’asserita “inesistenza” del fatto materiale, per tardività della contestazione irrogata dalla datrice di lavoro.

La mancanza di fiducia e la legittimità del licenziamento

La Cassazione non accoglieva le obiezioni della portalettere, confermando le statuizioni già rese dalla Corte d’Appello.

Fornivano altresì i Supremi Giudici nuovi spunti in punto di diritto sul concetto di perdita del vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.

Veniva infatti evidenziato che la condotta accertata in capo alla lavoratrice, attesa la sua gravità, era idonea a scuotere la fiducia del datore di lavoro ed far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali.

Veniva ritenuta determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento della lavoratrice, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza.

In tal senso, veniva conferito rilievo alla idoneità della condotta tenuta dalla dipendente a porre in dubbio, per il futuro, una possibile esecuzione della prestazione in modo corretto, in quanto il fatto oggetto di licenziamento in tronco era sintomatico di un certo atteggiarsi (in negativo) della dipendente, rispetto agli obblighi assunti.

Ciò anche avuto riguardo al danno provocato dalla lavoratrice sia in capo alla propria datrice di lavoro, sia in capo agli utenti finali, ossia i destinatari di quelle lettere, che purtroppo mai vedranno pervenire la corrispondenza a loro destinata.

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