Frode informatica: cos’è, come funziona e quando si parla di delitto

Pubblicato il 18 Settembre 2020 alle 12:19 Autore: Claudio Garau
Frode informatica: cos'è, come funziona e quando si parla di delitto

Frode informatica: cos’è, come funziona e quando si parla di delitto

Nell’epoca delle nuove tecnologie trovano spazio e disciplina nel Codice Penale, reati come quello di frode informatica, previsto all’art. 640 ter. Si tratta di una “variante moderna” del reato di truffa, punito dall’art. 640 c.p.. Appare opportuno darne un inquadramento e spiegare quando rileva in concreto, data la mole di casi pratici riconducibili a tale tipo di illecito, e che dovrebbero condurre tutti gli utenti del web a fare, quanto meno, una certa attenzione quando utilizzano il proprio pc di casa o lo smartphone.

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Frode informatica: di che si tratta e qual è lo scopo della norma

La definizione del legislatore, relativa alla frode informatica, è piuttosto chiara e ci fa subito capire qual è il contesto di riferimento: “Chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinquantuno euro a milletrentadue euro” (art. 640 c.p. ter primo comma).

Il delitto di cui all’art. 640 ter c.p. può definirsi un delitto comune e non qualificato, in quanto può essere commesso da chiunque, purchè competente in ambito tecnologico e capace di utilizzare i moderni dispositivi, tanto da poterne alterare funzionamento, software, dati e contenuti. Per il diritto penale rappresenta un reato contro il patrimonio, ma in regime di sussidiarietà e complementarietà rispetto a quanto previsto in generale dall’art. 640 c.p., sul reato di truffa.

Scopo della norma che sanziona questo tipo di reato è tutelare non solo il patrimonio dell’individuo, ma anche proteggere il regolare funzionamento dei sistemi informatici ed la riservatezza dei dati contenuti in questi sistemi, contro gesti truffaldini che hanno la finalità di entrare nei dispositivi altrui per appropriarsi di informazioni, dati e programmi altrui.

L’ingiusto profitto di cui alla norma citata può anche non essere di natura economica, essendo la frode informatica integrata anche dal semplice impossessamento di dati riservati o dall’appropriazione di un certo programma.

I responsabili di questo reato sono generalmente soggetti molto ferrati nel settore dei computer ed internet (come i cd. hacker), dato che la frode informatica in genere si concretizza con l’intrusione nella rete altrui, attraverso virus ed altre tipologie di programmi pericolosi per l’integrità dei dati personali più riservati. Tuttavia, tale reato si verifica in concreto anche quando è consumato mediante manomissione fisica dell’apparecchiatura, ovvero con intervento diretto sulla parte hardware, e non software.

Come difendersi da questo tipo di frode?

 La condotta di cui al primo comma dell’art. 640 ter è sottoposta a condizione di procedibilità, ovvero può condurre all’attribuzione di responsabilità penale su querela della persona offesa; si procede d’ufficio nelle ipotesi di cui al secondo e terzo comma dello stesso articolo, ovvero se sussiste una delle circostanze aggravanti di cui all’art. 61 n° 5 (l’aver approfittato delle circostanze di luogo o di persona) o n° 7 (aver cagionato un danno patrimoniale di grande entità). La frode informatica è peraltro da intendersi reato di evento, e pertanto il tentativo può ritenersi astrattamente configurabile, con le conseguenze penali che ne derivano.

La differenza con la truffa ordinaria

Come sopra accennato, la frode informatica è in rapporto di specialità rispetto alla truffa ordinaria (art. 640 c.p.). Ciò comporta che va escluso il concorso di reati di truffa ordinaria e frode informatica. Anzi, nell’ipotesi in cui, oltre all’alterazione del sistema informatico e dei dati, sussista anche l’induzione in errore della vittima, prevale dunque il reato base di truffa e la pena prevista dall’articolo di riferimento.

Va rimarcato che la frode informatica è un’ipotesi di truffa diversa da quella base, in quanto la truffa comune è mirata a far cadere in errore la vittima dei raggiri, mentre la truffa di cui qui stiamo trattando, prevede un intervento concreto dell’autore del reato sul sistema informatico, e non sulla vittima. Infatti, la norma punisce la condotta di chi si introduce senza autorizzazione, alterando o modificando un sistema informatico o telematico altrui (dati, informazioni o programmi), procurandosi con ciò un indebito vantaggio con altrui danno. In altre parole, si tratta di una differenza sul piano causale, dato che qui non si richiede l’induzione in errore della vittima, poichè l’attività fraudolenta colpisce il sistema informatico della stessa.

L’art. 640 ter sulla frode informatica si distingue altresì per il fatto che la pena è aumentata se ricorrono alcune delle condizioni previste nel comma due dell’art. 640 c.p., vale a dire: se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare qualcuno dal servizio militare; se il fatto è compiuto ingenerando nella persona offesa la paura di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere compiere un ordine dell’Autorità; se il fatto è compiuto in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5 o 7 (ovvero – come detto sopra -l’aver approfittato delle circostanze di luogo o di persona o aver prodotto un danno patrimoniale di notevole entità).

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Ancora, la pena sale se la condotta di frode informatica è integrata da un operatore di sistema o attraverso furto o appropriazione dell’altrui identità digitale. Quest’ultima è costituita da tutte quelle informazioni, file e dati personali che riconducono ad una certa persona identificata e registrata sul web, ed avente quindi la “qualifica” di utente online, con un account personale. In particolare, quest’ultimo caso pratico (furto o indebito utilizzo dell’identità digitale) prevede un inasprimento di pena non indifferente, rischiandosi fino a 3.000 euro di multa e la reclusione in carcere fino a 6 anni.

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L'autore: Claudio Garau

Laureato in Legge presso l'Università degli Studi di Genova e con un background nel settore legale di vari enti e realtà locali. Ha altresì conseguito la qualifica di conciliatore civile. Esperto di tematiche giuridiche legate all'attualità, cura l'area Diritto per Termometro Politico.
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