Cos’è il demansionamento: quando scatta e cosa significa. Come tutelarsi?

Pubblicato il 18 Gennaio 2021 alle 05:43 Autore: Claudio Garau

Demansionamento: di che si tratta secondo la legge? E’ sempre vietato oppure ci sono delle eccezioni? Come può difendersi il dipendente? Ecco i dettagli

Cos’è il demansionamento: quando scatta e cosa significa. Come tutelarsi?

La prassi dei rapporti di lavoro ci insegna che non sempre le cose vanno a gonfie vele, tra dipendente e datore di lavoro o colleghi. Per esempio, abbiamo già parlato dei problemi legati al mobbing in ufficio, ma non è certamente la sola problematica che può emergere in materia. Qui di seguito vogliamo osservare da vicino il cosiddetto demansionamento, cercando di capire di che cosa si tratta, quando si manifesta e come può il lavoratore difendersi contro di esso. Facciamo chiarezza.

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Demansionamento: di che si tratta?

Spieghiamolo subito: il demansionamento consiste nell’attribuire al lavoratore subordinato mansioni o compiti inferiori rispetto a quelle per cui è stata decisa l’assunzione, e ciò indipendentemente da quelle che sono le sue competenze ed esperienze. È evidente che demansionare qualcuno può integrare ed integra un abuso da parte del datore di lavoro ai danni del lavoratore, dato che viene lesa la dignità di quest’ultimo e viene diminuita la capacità professionale del lavoratore, sottraendogli le mansioni svolte in precedenza e producendosi un danno morale ed economico allo stesso tempo.

D’altra parte, l’art. 2013 del Codice Civile, in tema di prestazione di lavoro, è molto chiaro: “il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito oppure a mansioni riconducibili allo stesso livello di inquadramento delle ultime effettivamente svolte“. Ne consegue che, quanto meno in linea tendenziale, il demansionamento non è ammesso dalla legge. In alcune specifiche ipotesi, che vedremo più avanti, tale pratica è invece consentita.

Il demansionamento è anche chiamato, in gergo, “mobilità verso il basso” e talvolta, ma non sempre, può essere collegato al fenomeno del mobbing. Tuttavia la legge mette a disposizione adeguati strumenti a favore del lavoratore demansionato, per potersi tutelare e ripristinare la situazione precedente al demansionamento.

Come può il lavoratore difendersi?

Come anticipato, il lavoratore può certamente tutelarsi contro questa forma di abuso da parte di chi ha potere decisionale sul luogo di lavoro. Ebbene, ricordiamo anzitutto che il dipendente ha tutto il tempo per opporsi al demansionamento finché questo si attua. E, come ricordato dalla Corte di Cassazione in una recente sua sentenza, non contestare subito le mansioni inferiori non equivale ad accettarle. Pertanto, c’è sempre modo di opporsi anche dopo un po’ di tempo: ciò può succedere laddove il dipendente abbia in un primo tempo rispettato la decisione lesiva, soltanto per evitare danni maggiori (come ad es. la sospensione o il licenziamento). Rimarchiamo però che cessato il demansionamento oppure l’esperienza di lavoro in una certa azienda, il lavoratore ha – per legge – un quinquennio di tempo per fare causa contro il datore di lavoro che ha optato per le mansioni inferiori. Trascorso questo lasso di tempo senza essersi opposti, il demansionamento non potrà più essere contestato e potrà permanere.

Dal punto di vista strettamente giudiziario, il lavoratore ingiustamente demansionato dovrà produrre innanzi al giudice tutti gli elementi di prova della pratica scorretta adottata dall’azienda. Tali elementi fonderanno la sua richiesta di risarcimento danni subiti per la propria immagine e professionalità, ma anche la richiesta di reintegro nelle mansioni precedenti.

Tuttavia, prima di rivolgersi al giudice, il dipendente ingiustamente demansionato potrà cercare il reintegro immediato alle mansioni di prima, redigendo una lettera destinata all’azienda, allo scopo di risolvere bonariamente il problema. Non sempre però l’azienda si conforma a quanto richiesto nella missiva: in queste circostanze, sarà necessario allora rivolgersi al giudice del lavoro, evidenziando i motivi di illegittimità.

Il giudice, nella sentenza, potrà condannare l’azienda al risarcimento danni, se provati e quantificati dal dipendente. Tali danni possono essere economicamente valutati, dato che comportano la perdita di professionalità, ma anche un danno di ambito morale per la lesione della dignità e delle aspettative del dipendente. Si tratta di un danno potenzialmente sia patrimoniale (ad es. danno da perdita di chance) che non patrimoniale (ad es. danno alla componente psicologica del dipendente).

Al posto della richiesta di reintegro alle mansioni precedenti, il lavoratore può anche decidere di dimettersi per giusta causa, senza bisogno di preavviso ma conseguendo contestualmente il diritto a percepire l’indennità di disoccupazione INPS. Condizione per aversi dimissioni legittime è però che il demansionamento sia così grave da sbarrare la possibilità di continuare il rapporto di lavoro. Anche in tali circostanze, il lavoratore potrà certamente chiedere il risarcimento danni.

Casi di legittimità del demansionamento: quali sono?

Come sopra anticipato, non sempre il demansionamento è vietato dalla legge: ci sono infatti circostanze in cui è ammesso e legittimo. Ma, in ogni caso, il demansionamento va obbligatoriamente reso noto al dipendente con lettera scritta, altrimenti è nullo. Vediamo in sintesi queste circostanze che rendono valida tale decisione:

  • le mansioni inferiori possono essere contemplate e previste dai CCNL di riferimento;
  • si verifica un sostanziale cambiamento dell’organigramma aziendale, con un consequenziale spostamento di mansioni;
  • le mansioni inferiori sono marginali ed accessorie rispetto a quelle quotidianamente svolte dal dipendente;
  • il lavoratore e il suo datore di lavoro hanno firmato un accordo per le mansioni inferiori (ad es. per motivi di salute del dipendente);
  • la dipendente demansionata è in gravidanza;
  • inidoneità fisica o psicologica, sopravvenuta del dipendente.

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Concludendo, pertanto è chiaro che se la regola generale è quella del divieto di tale pratica, sono tuttavia previste diverse eccezioni, giustificata da specifici motivi. Anche in caso di demansionamento legittimo, però, al dipendente spetta il diritto di conservare il livello di inquadramento e lo stipendio, precedenti allo spostamento verso le mansioni inferiori.

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L'autore: Claudio Garau

Laureato in Legge presso l'Università degli Studi di Genova e con un background nel settore legale di vari enti e realtà locali. Ha altresì conseguito la qualifica di conciliatore civile. Esperto di tematiche giuridiche legate all'attualità, cura l'area Diritto per Termometro Politico.
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