Trattativa europea: cosa prevedono gli accordi conseguiti al vertice Ue

Pubblicato il 22 Luglio 2020 alle 18:44 Autore: Eugenio Galioto

Trattativa europea: cosa prevedono gli accordi conseguiti al vertice Ue. L’intesa sul Recovery, sulla sua governace e sul bilancio europeo.

Sede della Commissione Ue
Trattativa europea: cosa prevedono gli accordi conseguiti al vertice Ue

Trattativa europea: cosa prevedono gli accordi conseguiti al vertice Ue

È terminata la lunga trattativa europea, la più lunga dai tempi dell’accordo di Nizza nel 2000. Quella di ieri è stata una “giornata storica per l’Europa”, come l’ha definita il presidente francese, Emmanuel Macron, dopo il “deal” annunciato dal Presidente Michel, secondo il quale la “decisione presa oggi trasformerà il volto del progetto europeo in modo durevole”. L’entusiasmo dei leaders europei sulla trattativa appena conclusa è palpabile: “l’Europa ha dimostrato di essere in grado di aprire nuove strade in situazioni molto speciali”, ha detto Angela Merkel, mentre il Premier Conte ha sottolineato il fatto che l’Ue ha “approvato un piano di rilancio ambizioso e adeguato alla crisi che stiamo vivendo”.

L’intesa, conseguita al termine di quattro giorni di trattative estenuanti per un totale di 92 ore, va a definire quello che sarà il Recovery fund, un fondo per la ripresa dell’economia dei Paesi più colpiti dalla crisi pandemica che andrà ad aggiungersi agli altri strumenti in dotazione, quali il Mes, il Sure, il Bei e i 1.350 miliardi di acquisti del programma PePP della BCE.

Trattativa europea: l’intesa sul Recovery fund

Il “Fondo per la ripresa” sarà dotato per una parte di sovvenzioni (attraverso forme di mutualizzazione del debito) e per l’altra, più consistente, di prestiti a un tasso vantaggioso (maggiore rispetto a quelli del Mes) dal 2021 al 2059. La lunga trattativa – il cui scontro tra Paesi “frugali” del Nord e Paesi mediterranei tra cui l’Italia,è stato accesissimo fin dal primo giorno – ha avuto come esito la condizionalità dell’accesso al fondo da parte degli Stati richiedenti a una serie di riforme strutturali che gli stessi dovranno proporre alle istituzioni Ue. Previa approvazione da parte della Commissione Ue, gli Stati membri otterranno i finanziamenti.

L’accordo raggiunto ha approvato sostanzialmente la proposta della Commissione Ue, confermata dal Presidente del Parlamento Michel, di 500 miliardi di sussidi e 250 miliardi di prestiti. L’ammontare complessivo (750 miliardi) è stato confermato, ma la trattativa ha cambiato profondamente il rapporto tra il volume di sussidi (ridotti a 390 miliardi, anziché 500) e il volume dei prestiti (i restanti 260 miliardi).

Sono stati tagliati i sussidi che dovranno transitare dalla Commissione Ue e per la Bei, ma non quelli che saranno gestiti direttamente dagli Stati membri, il cui volume complessivo passa da 310 (proposto dalla Commissione Ue) a 312,5 miliardi. Resta il nodo della “mutualizzazione del debito”, proposta invisa ai “frugali”, da sempre contrari agli eurobond e sul piede di guerra sulla proposta per tutto il tempo della trattativa.

I programmi della Commissione Ue che sono stati tagliati riguardano le risorse per gli investimenti, la ricerca e la transizione al Green deal. Azzerato il bilancio per la ricapitalizzazione delle imprese e per la gestione della crisi sanitarie. In sostanza, i capisaldi del Recovery plan su cui sta lavorando il governo Conte, a partire dagli Stati generali.

Respinta la proposta, avanzata dall’Olanda e dai “frugali” durante la trattativa, di un potere di veto da parte anche di un solo Paese membro dell’Ue all’accesso ai fondi da parte di uno Stato richiedente. Ci sarà in ogni caso un “freno d’emergenza”, ma solo a condizione che il Consiglio europeo, a maggioranza qualificata, respinga o valuti negativamente l’operato dello Stato beneficiario.

La governance del Recovery fund

Sul “freno d’emergenza” i frugali l’hanno spuntata alla fine della trattativa. I paesi beneficiari del Recovery fund dovranno rispettare le raccomandazioni della Commissione; cosa questa, aggravata dal fatto che il testo finale prevede“milestones” e “targets” che caratterizzarono i salvataggi della Grecia ai tempi della crisi del debito sovrano, che conduce molti osservatori euroscettici in Italia a parlare di “Troika in casa”. Infatti, alla stessa Commissione spetterà di valutare i singoli Recovery plan dei governi nazionali che saranno preliminarmente approvati dal Consiglio a maggioranza qualificata. In caso di dubbi sul rispetto degli impegni di riforma di un Paese, un singolo Stato membro del Consiglio potrà chiedere di bloccare l’accesso ai fondi del Recovery Fund: è questo il cosiddetto freno di emergenza, che però sarà deciso dopo attenta valutazione dal Consiglio europeo che si esprimerà a maggioranza qualificata. Si tratta, in sostanza, di un compromesso tra Paesi frugali e Stati del Sud sulla governance del Recovery fund: nessun “veto” e nessun obbligo di decisione “unanime”, ma di fatto se un Paese membro presenta delle riserve sull’accesso ai fondi di un altro Paese, il Consiglio viene chiamato a deliberare.

Bisogna anche considerare inoltre il rischio di una dilatazione dei tempi per ottenere gli aiuti tra la valutazione della Commissione sui Recovery plan presentati dagli Stati (2 mesi) e quella del Consiglio europeo (altri 3 mesi).

Trattativa europea: l’intesa sul bilancio europeo

La trattativa sul bilancio europeo si è chiusa a favore dei “frugali”, con un vigoroso sconto sui rimborsi (rebates) ottenuti da Austria, Paesi Bassi, Danimrca, Svezia e Finlandia. I rebates non sono altro che sconti per i maggiori contributori dell’Ue e ricalcano quanto fatto nel 1980 da Margaret Thatcher per il Regno Unito. Gli sconti aumentano per tutti i “frugali”_ l’Olanda passa da 1,576 a 1,921 miliardi, la Svezia da 798 a 1,069 miliardi, l’Austria da 237 a 565 milioni, la Danimarca da 197 a 377 milioni. La Germania, invece, resta ferma a 3.671 miliardi l’anno. Dalla trattativa, inoltre, i Paesi Bassi ottengono ancora di più: la quota che trattengono come costo per i dazi doganali che ricevono dall’Ue sale dal 20 al 25 per cento. Un regalo per un Paese come l’Olanda che ha, a Rotterdam, il principale snodo commerciale portuale d’europa.

Ingenti tagli sono stati apportati su sanità, Green deal, ricerca e investimenti Ue sulle risorse da gestire autonomamente da parte degli Stati, ovvero su quella che Ursula von der Leyen ha definito “la parte innovativa del bilancio”, la cui riduzione è, stante alle parole della Presidente della Commissione, “incresciosa”.

Inoltre, se dal punto di vista finanziario, l’accordo raggiunto al termine della trattativa è “senza precedenti” – come affermato da vari leaders europei -, dal punto di vista di alcuni punti del bilancio comunitario e sulla questione del rispetto dello Stato di diritto (che molti Paesi chiedevano al blocco di Visegrad guidato dall’Ungheria di Orban) meno.

Dalla trattativa infuocata tra Paesi “frugali” e resto dei Paesi, Charles Michel è riuscito a preservare la sua proposta iniziale di bilancio 2021-27 dell’Ue che fissa il tetto massimo di spesa per i prossimi sette anni a 1074,3 miliardi. Sono stati confermati i tagli ai programmi agricoli e di coesione, mentre si prevede un aumento di risorse per la digitalizzazione e la gestione sicuritaria delle migrazioni.

Le eventuali sanzioni per la violazione dello “Stato di diritto” e la “questione “climatica” escono sconfitte dalla trattativa. Riguardo la prima, la Commissione dovrebbe presentare un meccanismo che prevede il voto a maggioranza, ma è improbabile che ci saranno effetti restrittivi su Visegrad. Sul clima si rinuncia sostanzialmente all’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050, sia a causa della riduzione delle condizionalità, sia attraverso il taglio al Fondo del Recovery.

E l’Italia? Quali ricadute su Recovery e contributi al bilancio UE

Vediamo quali sono le ricadute della trattativa per quanto riguarda l’Italia.

Il Recovery fund licenziato dall’accordo raggiunto al termine del vertice dovrebbe apportare all’Italia sovvenzioni per una cifra di circa 82 miliardi, erogati dal 2021 al 2024. Dopodiché scatteranno i prestiti.

Di questi 82 miliardi, 55 vanno restituiti sotto forma di contributi al bilancio Ue; cosa che porterà il volume delle sovvenzioni alla modica cifra di 25 miliardi, mentre i prestiti che gravano su un debito pubblico già in affanno saranno oltre 120 miliardi.

Stante alla cifra delle sovvenzioni menzionata, la somma equivarrà a circa l’1% del nostro PIL a fronte di un crollo previsto per questo anno del 12-13%.

Esaurita la riserva delle sovvenzioni, a partire dal 2026 l’Italia potrà accedere alla parte del fondo riguardante i prestiti che andranno restituiti con l’aumento del contributo al bilancio europeo da parte dell’Italia oppure, più semplicemente, con una maggiore imposizione fiscale.

In ogni caso, per quanto riguarda l’accesso ad ogni finanziamento del fondo – sia che riguardi sovvenzioni, sia che riguardi prestiti – esso è vincolato alla condizionalità delle riforme strutturali, esattamente come sarebbe previsto per l’attivazione del Mes. Qualora non si rispettassero le condizionalità, il rischio è che un Paese membro possa chiedere conto dell’operato dell’Italia alla Commissione e che il Consiglio, a maggioranza qualificata, possa decidere di bloccare l’esborso dei finanziamenti.

Inoltre, l’Italia dovrà contribuire al bilancio Ue, anche per quanto riguarda il volume dei rebates, gli sconti fiscali di contributo al bilancio comunitario di cui usufruiranno i Paesi frugali, vincitori della trattativa sulle questioni legate al bilancio. Fino al 2027, la Germania risparmierà 3,671 miliardi di euro, l’Olanda 1,921 miliardi, la Svezia 1,069 miliardi, l’Austria 565 milioni e la Danimarca 377 milioni.

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L'autore: Eugenio Galioto

Sociologo, un passato da ricercatore sociale e un presente da analista politico. Scrivo principalmente di economia e politica interna. Amo il jazz, ma considero l'improvvisazione qualcosa che solo i virtuosi possono permettersi.
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