Francesco Cossiga, il grande esternatore

Pubblicato il 17 Agosto 2010 alle 16:36 Autore: Andrea Carapellucci
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“Io sono un provocatore di centro-sinistra”. Così si definiva Francesco Maurizio Cossiga, pochi anni orsono, in un libro intervista…

…che ci permettiamo di consigliare (C. Sabelli Fioretti, L’uomo che non c’è, Aliberti ed., 2007).

 

Francesco Cossiga, il grande esternatore

 

Francesco Maurizio: due nomi pronti a trasformarsi, alla bisogna, in altrettanti pseudonimi – Mauro Franchi e Franco Mauri – immaginari opinionisti, uno di centrodestra, l’altro di centrosinistra, sui quotidiani più discussi degli ultimi anni (come Libero di Vittorio Feltri).

Nemico storico della sinistra movimentista, ammiratore di D’Alema, accusato di fascismo ma orgogliosamente antifascista, Cossiga sarà ricordato come un politico “irruducibile”, cioè impossibile da ricondurre ad un qualunque schema. Nel suo impressionante cursus honorum, ricoprì un ruolo politicamente significativo – per sua stessa ammissione – soltanto in due occasioni. La prima quando nel 1979, da presidente del Consiglio di uno dei governi di unità nazionale del dopo-Moro, diede l’assenso all’installazione dei missili americani in Italia, pedina fondamentale della corsa al riarmo che costituì, negli anni seguenti, il fulcro della strategia reaganiana per porre fine alla Guerra Fredda. La seconda quando, venti anni più tardi, ricevendo i reduci della DC nella sua stanza da letto (“avrebbero dovuto chiamarlo il patto delle mutande”) fu regista dell’unico vero ribaltone della storia repubblicana, facendo di Massimo D’Alema il primo ex comunista a Palazzo Chigi.

Nel giorno della sua morte, non sappiamo se il Cossiga politico sarà ricordato soltanto per questi due episodi, ma una congettura ci sembra già possibile. L’ottavo presidente della Repubblica italiana sarà ricordato soprattutto come uomo dello Stato e delle istituzioni. Un ruolo interpretato, nelle diverse cariche che ebbe a ricoprire, in due modi tra loro del tutto antitetici.

C’è infatti un anno, nella vita di Cossiga e nella storia d’Italia, che segna un punto di svolta fondamentale: il 1990. Prima, Cossiga non era stato che uno degli esponenti più in vista della vecchia DC. Famigerato “ministro di Polizia” nei sanguinosi anni ’70, oggetto di invettive e sfottò passati alla Storia (come il mitico “Rapiamo Kossiga. Nel senso di rapire”), era già più famoso di quanto il suo reale peso politico potesse far prevedere. Ma nel romanzo di quegli anni, il ribattezzato “Kossiga” rappresentava, a ben vedere, più una funzione narrativa che un personaggio a tutto tondo. Era infatti, essenzialmente, il simbolo dell’ “ordine reazionario” imposto del “regime democristiano”, per citare Camilla Cederna, oggetto dell’odio della sinistra extraparlamentare.

La sua straordinaria individualità, invece, era destinata a manifestarsi al grande pubblico solo molto più tardi, negli anni del Quirinale, ed in particolare negli ultimi due del suo mandato, iniziato all’insegna della più anonima sobrietà. Nel 1990 nasce il Picconatore e con lui inizia a morire la Prima Repubblica. Francesco Cossiga fa un uso massiccio – e a volte sconsiderato – delle prerogative presidenziali per combattere due battaglie, che con il senno del poi appaiono degne di un Don Chisciotte.

La prima battaglia è contro il Sistema. Un sistema politico, la “gloriosa Prima Repubblica dei partiti popolari di massa”, del quale si proclamerà tristemente orfano, ma che contribuì più di ogni altro a svilire e quindi ad abbattere. Abbandonato dal suo partito, avversato dall’opposizione comunista, apertamente accusato di eversione, Francesco Cossiga recita la parte dell’Arcitaliano infuriato contro un sistema ormai incapace di rappresentare il Paese. Il suo obiettivo è riformare, ripulire, rifondare: un ritorno a quelle origini davvero gloriose che Cossiga aveva vissuto, da ragazzo, all’indomani della Liberazione. Ben diverso è il risultato: tra le stragi di mafia e l’inchiesta di Mani Pulite la crisi della “repubblica dei partiti” diventa crisi a tutto tondo, istituzionale prima che politica, e conduce al nuovo bipolarismo in cui l’ ex presidente, come tanti ex democristiani, faticherà a trovare un posto.

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L'autore: Andrea Carapellucci

Analista giuridico di TP, si è laureato in Giurisprudenza all’Università di Torino ed è dottorando in Diritto amministrativo presso l’Università degli Studi di Milano.
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