Il centrosinistra minoranza strutturale del Paese

Pubblicato il 7 Aprile 2010 alle 16:17 Autore: Bertram Wooster
elezioni regionali - Termometro Politico

Per spiegare la sconfitta (o, per meglio dire, lo svanire di un’attesa vittoria) alle ultime elezioni regionali, l’umore corrente sul web tra gli internauti di sinistra punta il dito generalmente sull’eccessiva moderazione del Pd e dei suoi alleati. Anche nelle analisi più pacate…

Il centrosinistra minoranza strutturale del Paese

…ad esempio quella di Lidia Ravera e quella di Nadia Urbinati, si ritiene che il problema del centrosinistra sia il suo profilo troppo sfumato, la rinuncia a parole d’ordine forti e ben definite, l’assenza di un profilo ideologico marcato, una mancata radicalizzazione dello scontro che avrebbe favorito la stanchezza, la delusione, l’allontanamento di gran parte dell’elettorato “di sinistra”, rifugiatosi nell’astensione o, addirittura, passato agli avversari.

 

Il presupposto, mai espresso compiutamente, di queste valutazioni, così diffuse da essere diventate “opinione comune”, specie sul web, è che esista una sorta di “maggioranza silenziosa di sinistra”, che in lontani “anni d’oro” marciava compatta nei seggi, ma che oggi si rifugia nel disinteresse e nel non voto. Ma che aspetta solo una parola, un gesto deciso, per essere mobilitata e sconfiggere le destre. Un “esercito di riserva”, che le forze di centrosinistra si ostinano a ignorare, in una vana rincorsa del “centro”.

 

Ma è corretto questo presupposto? Ed è poi vero che oggi la sinistra è ai minimi termini, rispetto a (mitici) anni d’oro del passato? Se andiamo ad analizzare i risultati elettorali in prospettiva storica, esercizio che sembra sconosciuto alla quasi totalità degli internauti, ma anche degli analisti sedicenti più raffinati ed equilibrati (es. Luca Ricolfi), vediamo che le cose stanno diversamente.

Al netto di tutte le differenze politiche (ovviamente enormi e incalcolabili), e usando come definizione di “centrosinistra”, nella maniera più neutrale possibile, “una coalizione di forze incentrata su, o che comprenda in sé, forze che si autodefiniscono di sinistra o centrosinistra, in contrapposizione a una coalizione moderata di centrodestra”,  notiamo che in Italia, dalla creazione della Repubblica ad oggi, il centrosinistra ha raggiunto la maggioranza assoluta una volta sola. Ed è avvenuto nel 2006. Tecnicamente, in realtà la coalizione di Prodi prese solo il 49,9%, ma escludendo le microscopiche forze non in coalizione con i grandi schieramenti, si può dire che nel 2006, pur di soli 25 mila voti, e con uno scrutinio finale al cardiopalma, il centrosinistra fu maggioranza nel Paese. L’anno prima, alle Regionali del 2005, che segnarono indiscutibilmente il maggior successo elettorale del centrosinistra dalla Liberazione a oggi, si calcolò che, su base nazionale, la coalizione avrebbe potuto ottenere il 51-52% dei voti.

Su 65 anni di Repubblica, quindi, solo in due anni il centrosinistra è stato maggioranza assoluta. Fu, è vero, maggioranza relativa anche nel 1996 (per poi governare cinque anni), ma solo con il 42-44% dei voti a seconda che si volessero contare i voti ai partiti, o i voti dati all’Ulivo nei collegi maggioritati. Incidentalmente, 42-44% è più o meno lo stesso risultato ottenuto dal centrosinistra in queste Regionali.

Non c’è che da lodare quindi il sapiente intuito di Berlusconi e dei suoi alleati di destra che cambiarono la legge elettorale, nel 2005, da mista (a prevalenza del maggioritaro) in proporzionale con premio di maggioranza. Consapevole che con il maggioritario, dove può essere sufficiente in determinate condizioni anche il 44-45% dei voti per governare, il centrosinistra aveva buone chances; mentre, chiamato alla sfida proporzionale, e quindi a conquistare la maggioranza assoluta dei voti, il centrosinistra aveva (ed ha) enormi difficoltà.

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Dando uno sguardo a tempi ancora più lontani, scopriamo che la forze del centrosinistra, in Italia, è stata sempre molto inferiore alla maggioranza assoluta. Basta pensare all’anno della grande “ondata rossa” nel 1976. Il Pci ottenne il 34% dei voti. Volendo aggiungere a questa percentuale quella del Psi (violando però il nostro assioma: il Psi era infatti nella coalizione di governo con i moderati, non in quella di sinistra), poco meno del 10%, arriviamo al 44%. Aggiungendo un paio di punti dei partiti di estrema sinistra, si arriva a un ragguardevole 46%, inferiore al risultato di Prodi del 2006. E alla maggioranza assoluta.

Vale la pena poi di ricordare che nel 1992, non ai tempi di guelfi e ghibellini, ma “solo” 18 anni fa, le forze autodefinitesi di sinistra, Pds e Rifondazione, non arrivarono, sommate, al 22%. A cui aggiungendo, se proprio si vuole, il Psi di Craxi, si arriverebbe al 36%. Le prefiche che oggi lamentano il calo di consensi nelle “regioni rosse”, prima di piangere a lutto, si facciano prima un’idea andando a riguardare i dati del 1992.

Le conclusioni? Abbastanza ovvie. La sinistra in Italia, storicamente, è minoranza, e lo è sempre stata. Se esiste una maggioranza di sinistra che non è soddisfatta dai partiti istituzionali, questa è rimasta sempre silente in 65 anni, e anzi, dati alla mano, si è risvegliata in parte proprio negli ultimi anni, in cui il centrosinistra ha ottenuto i suoi massimi successi. Chi poi “maneggia” sondaggi sa bene che esiste una fascia di elettori che vota quasi solo alle Politiche, impermeabile sia alle rilevazioni telefoniche che a quelle web. Ebbene, nelle ultime due occasioni (2006 e 2008), questi elettori hanno votato in massa Berlusconi, consentendogli risultati ben superiori a quelli previsti dai sondaggi. È il Cavaliere, purtroppo, a poter disporre di un “esercito di riserva”.

Una “maggioranza silenziosa di sinistra” che non si manifesta mai, che non lascia tracce di sé, che riesce mai a influenzare i dati elettorali, è evidentemente una “entità inutile”, che il rasoio di Occam dell’analisi politica dovrebbe cancellare senza esitazioni. La realtà, come al solito, è più semplice e più complicata a un tempo. Per vincere le elezioni, è certamente vero, non bisogna annacquare le proprie idee e la propria visione del mondo; ma la questione decisiva, così come fu per Togliatti e Berlinguer, così come lo è stata per Prodi e lo sarà per Bersani, è trovare il modo di avvicinare alle idee, ai programmi, alle priorità della sinistra elettori che normalmente ne diffidano, che abitualmente se ne stanno ben lontani. E l’evidenza ci dice anche che il problema delle alleanze non può essere ignorato come “superfluo”, o “secondario”, se è vero che proprio la più larga alleanza politica ha portato nel biennio 2005/2006 il centrosinistra al suo unico autentico successo.

Ma c’è anche ragione di ottimismo: in prospettiva storica, dal 1992 a oggi il centrosinistra ha sostanzialmente raddoppiato le forze, e si è mostrato fortemente competitivo proprio in anni molto vicini ai nostri. Lungi da noi individuare una linea di tendenza; si deve però rilevare che la situazione può indurre alla speranza. Il centrosinistra è stato vincente pochi anni fa, e nulla impedisce che, nel futuro prossimo, torni vicino o persino superi quei livelli. La strada giusta però non è rievocare antichi slogan e bandiere identitarie, ma andare a cercare il consenso di coloro che da quelle bandiere non si sono (quasi) mai sentiti rappresentati, per dare loro una nuova ragione di speranza.

 

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