Paradisi fiscali: che cosa sono e quali sono i requisiti. Le novità della UE

Pubblicato il 20 Febbraio 2020 alle 15:57 Autore: Claudio Garau

Paradisi fiscali: di che si tratta, quali sono le origini e quanti sono. I requisiti e le recenti novità in tema di “black list” dell’Unione Europea.

Paradisi fiscali che cosa sono e quali sono i requisiti. Le novità della UE
Paradisi fiscali: che cosa sono e quali sono i requisiti. Le novità della UE

I paradisi fiscali sono tanto discussi nel mondo dell’economia e del fisco, quanto ambiti da chi vuole risparmiare o sogna di voler risparmiare in materia di tasse e versamenti allo Stato. Insomma un argomento che non va mai fuori moda e che merita di seguito di essere considerato un po’ più da vicino: quali posti sono paradisi fiscali e quali sono i requisiti di un paradiso fiscale? Facciamo chiarezza.

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Paradisi fiscali: che cosa sono di preciso?

L’origine del termine “paradiso fiscale” è ultrasecolare: infatti, si fa riferimento ad una parola della lingua inglese (“tax haven“), successivamente estesa anche all’utilizzo comune in Italia e in tanti altri paesi del mondo. L’origine si fa appunto risalire all’anno 1727, in cui il re della Gran Bretagna dell’epoca, Giorgio II, lo utilizzò per la prima volta per individuare il paradiso fiscale delle Isole Cayman: potrà stupire molti, ma già quasi trecento anni fa questo arcipelago era un noto luogo per eludere il fisco.

I paradisi fiscali non sono altro che Stati del mondo (tra i più noti abbiamo Principato di Monaco, Emirati Arabi, Antigua e Barbuda, Gibilterra) in cui agli interessati sono riservati trattamenti privilegiati dal punto di vista fiscale. Pertanto, uno Stato paradiso fiscale assicura un prelievo molto esiguo, se non addirittura pari quasi a zero, per ciò che attiene le tasse sui depositi bancari a favore dell’Erario. È chiaro che vengono definiti “paradisi” perché sono una sorta di El Dorado per chi intende allontanare i propri capitali dalla morsa del fisco.

Tuttavia, i paradisi fiscali sono sempre stato oggetto di forte dibattito e discussione a livello politico, essendo di fatto dei veri e propri rifugi per evitare la pressione di tasse ed imposte sui redditi: insomma, una sorta di “escamotage” per pagare meno, considerato però in più occasioni come una tecnica di elusione fiscale, se non di vera e propria evasione.

Quali sono i requisiti tipici di un paradiso fiscale?

In effetti, le economie più “virtuose” del pianeta non stimano i paesi paradisi fiscali, non solo per la possibilità di evasione fiscale in sé, ma anche perché il loro regime fiscale è ritenuto un esempio di concorrenza fiscale dannosa. L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo) ha in particolare individuato alcuni requisiti che caratterizzano un paradiso fiscale:

  • tassazione con grande disparità tra i redditi generati all’interno o all’esterno dello Stato;
  • imposizione fiscale esigua o quasi nulla;
  • potenzialità di attrazione verso multinazionali e compagnie, al fine di nasconderne i movimenti;
  • nessuna trasparenza delle transazioni economiche;
  • mancanza di informazioni rese agli altri Stati.

Tali requisiti contraddistinguerebbero i paradisi fiscali in modo inequivocabile, quasi a creare una sorta di black-list.

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Le ultime novità: quanti sono i paradisi fiscali?

Ebbene, in questo quadro si inserisce l’attività dell’Unione Europea, la quale si impegna costantemente a reprimere l’evasione o elusione fiscale. Come accennato, esiste infatti una vera e propria black-list che oggi include ben 120 paesi considerati paradisi fiscali, e quindi “pericolosi” fiscalmente. Si tratta insomma di nazioni valutate come non credibili o poco affidabili dal lato fiscale e non cooperative sul piano della lotta all’evasione. Con questa campagna di lotta, oggi è molto più complicato fuggire con i propri capitali all’estero, verso i paradisi fiscali, in cui spostare la sede dell’impresa, i propri capitali o la residenza.

È stato il Consiglio dell’Unione di Bruxelles a integrare recentemente questa lista di regimi fiscali sgraditi all’UE, inserendo anche arcipelago di Palau, Panama e le isole Seychelles in un insieme che già comprende tanti altri paesi a rischio come Samoa, Trinidad e Tobago, Isole Fiji, Guam e l’Oman. La ragione di queste aggiunte sta nel fatto che tali paesi non si sono impegnati a concretizzare, nei tempi prefissati, le riforme fiscali che li avrebbero resi non più paradisi fiscali.

Concludendo, la black list in oggetto mira proprio a circoscrivere e combattere il fenomeno dello spostamento dei capitali all’estero, rendendolo più difficoltoso e contribuendo a distinguere i sistemi fiscali cristallini e trasparenti da quelli che invece mirano all’afflusso di capitali dall’estero, soltanto per avere maggiori ricchezze.

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L'autore: Claudio Garau

Laureato in Legge presso l'Università degli Studi di Genova e con un background nel settore legale di vari enti e realtà locali. Ha altresì conseguito la qualifica di conciliatore civile. Esperto di tematiche giuridiche legate all'attualità, cura l'area Diritto per Termometro Politico.
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