Franco CFA: che cos’è, come funziona, le polemiche

Pubblicato il 21 Gennaio 2019 alle 16:11 Autore: Michele Mastandrea

Franco CFA: che cos’è, come funziona, le polemiche. Le accuse di neocolonialismo, gli interessi delle multinazionali, l’impatto sulle migrazioni

Franco CFA: che cos'è, come funziona, le polemiche
Franco CFA: che cos’è, come funziona, le polemiche

Alcune prese di posizione da parte del Movimento Cinque Stelle nelle ultime ore hanno sollevato l’attenzione sul tema del franco CFA e della politica francese in Africa. Di cosa si tratta?

Il franco CFA è un insieme di due valute ideate dalla Francia per le sue colonie nel 1945. Ciò avvenne all’interno dei noti accordi di Bretton Woods che riorganizzarono l’economia globale dopo la Seconda Guerra Mondiale. Inizialmente chiamato Franco delle Colonie d’Africa, il suo acronimo sta dal 1958 per Franco della Comunità Finanziaria Africana. Al momento, è vigente in 14 paesi dell’Africa centrale e occidentale: Camerun, Ciad, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Benin, Burkina Faso, Costa D’Avorio, Guinea Bissau, Mali, Niger, Senegal, Togo.

Franco CFA: le accuse di neocolonialismo

Il franco CFA ha un cambio fisso con l’euro. Prima lo aveva con il Franco francese. La sua convertibilità esterna è garantita dal Tesoro di Parigi. Questi per assicurarla ha però statuito per legge la creazione di un deposito, presso un conto del ministero, del 50% delle riserve in valuta estera delle nazioni facenti parte l’unione monetaria. Un tema tra i più controversi e che più mette l’accento sui rapporti diseguali tra stati legati al franco CFA. Difficile immaginare ad esempio Pechino che deposita il 50% delle sue riserve a Washington.

Il franco CFA è amministrato da due diverse banche centrali, nei cui Cda siedono delegati di Parigi. Le due banche raggruppano i 14 paesi. Questi sono divisi tra l’area dell’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (UEMOA) e quella della Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale (CEMAC). In passato queste due aree raggruppavano più paesi di quelli attuali. In seguito, molte nazioni durante il processo di decolonizzazione e con la conquista dell’indipendenza decisero di stampare autonomamente la propria valuta. Una delle risposte di Macron alle accuse di neocolonialismo è proprio il carattere volontario dell’adesione al franco CFA da parte dei paesi che la usano.

Franco CFA: quali aspetti controversi?

Tra i detrattori del franco CFA è invece forte l’argomento per il quale questo strumento equivarrebbe ad una prosecuzione del colonialismo con altri mezzi. Impedendo ai paesi che la adottano di dirigere la propria politica monetaria, costringerebbe infatti questi al mancato sviluppo di una industria produttiva. Non potendo infatti adottare pratiche di svalutazione competitiva della propria valuta per migliorare le proprie esportazioni, la moneta metterebbe un freno alle industrie dei paesi dove vige. Portando così a disoccupazione e ad emigrazione. Solo parzialmente bilanciate dalla possibilità di importare beni a prezzi inferiori.

Per questo Di Maio ieri in un comizio ha definito il franco CFA uno strumento che Parigi “usa per finanziare il suo debito pubblico e che indebolisce le economie di quei paesi da dove, poi, partono i migranti”. Una riflessione che ha visto nel recente passato anche proteste da parte di attivisti negli stessi paesi africani. Per l’attivista senegalese Guy Marius Sagna, citato in un articolo dell’Economist, discutere dei meriti del franco CFA sarebbe paragonabile a discutere “i meriti o i demeriti della schiavitù”.

Franco CFA: gli interessi delle aziende multinazionali

Chi invece difende il franco CFA lo fa a partire dal fatto che questo manterrebbe la stabilità dei prezzi. Controllando l’offerta di moneta, aiuterebbe infatti a frenare le dinamiche inflattive e allo stesso tempo a tenere sotto controllo il debito pubblico. C’è chi però afferma che questa stabilità sia favorevole soprattutto ai desiderata delle grandi multinazionali estere.

Queste, al di là di ogni bandiera, beneficerebbero del franco CFA riuscendo a proteggersi da fluttuazioni dei tassi di cambio. Sostenendo così i loro investimenti nelle industrie estrattive. Molti stati che usano il franco CFA sono ad esempio ricchi di petrolio e risorse minerarie. Diventando così interessati da scontri geopolitici che hanno poi anche effetti sugli equilibri interni dei paesi. Come dimostrerebbe il recente caso del Gabon.

La questione come sempre in questi casi è molto complessa. Sul tema delle migrazioni africane, è difficile trovare una causa unica per poter spiegare un fenomeno molto sfaccettato. Senza dubbio il franco CFA ha delle implicazioni, così come ne hanno altri temi come le scelte personali dei migranti, i diversi contesti politici delle aree di partenza, i conflitti armati ricorrenti che non creano ambiente favorevole per uno sviluppo duraturo, i trend demografici del continente africano.

Va inoltre sottolineato come tra i paesi da cui proviene la maggioranza dei migranti verso le nostre coste, solo Costa d’Avorio, Mali e Guinea usano il franco CFA. Senza dubbio la valuta ha effetti problematici sulle economie dove è adottata. Ma il dibattito che da anni si svolge intorno alla possibilità di una sua eliminazione è alquanto complesso e ancora non giunto a sintesi.

Segui Termometro Politico su Google News

Scrivici a redazione@termometropolitico.it


L'autore: Michele Mastandrea

Nato nel 1988, vive a Bologna. Laureato in Relazioni Internazionali all'università felsinea, su Termometro Politico scrive di politica estera ed economia.
Tutti gli articoli di Michele Mastandrea →