Elezioni politiche 2018: intervista a Paolo Becchi, ex “ideologo” M5S

Pubblicato il 14 Gennaio 2018 alle 19:57 Autore: Alessandro Faggiano
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Elezioni politiche 2018: intervista a Paolo Becchi, ex “ideologo” M5S

Continua lo speciale del Termometro Politico in vista delle elezioni politiche del 4 marzo. Oltre ad esponenti di partito – Ornella Bertorotta (M5S), David Ermini (PD), Fabio Rampelli (FDI) e Nicola Fratoianni (SI) – abbiamo dialogato con il celebre filosofo Diego Fusaro.

Oggi, è il turno di un altro intellettuale, accademico e vicino, in passato, al Movimento 5 Stelle. Fu definito – da un certo numero di giornalisti – come l’ideologo del M5S. Adesso, il professor Becchi ritiene che il Movimento abbia subito un processo di metamorfosi, avvicinandosi alla struttura e l’organizzazione del partito tradizionale.

In questa interessante intervista, si parla di Movimento 5 Stelle, di Europa e di elezioni.

Elezioni politiche 2018: l’intervista al professor Paolo Becchi, ex ideologo M5S

Come cominciò la sua avventura all’interno del M5S?

La mia avventura all’interno del M5S cominciò con le elezioni politiche precedenti, quelle del 2013, dello tsunami tour che affascinò milioni di italiani; tour magistralmente preparato da Gianroberto Casaleggio e realizzato da Beppe Grillo. Fu un esperienza entusiasmante: non solo per me, ma per milioni di italiani che alla fine votarono per il Movimento 5 Stelle (quasi 9 milioni). Si pensava, allora, di rovesciare l’Italia come un calzino. Di aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno. L’idea era rivoluzionaria: riportare i cittadini all’interno della vita politica. I cittadini si facevano direttamente Stato al di fuori dell’intermediazione dei partiti.

Quali sono state le principali ragioni che l’hanno spinta a lasciare il partito?

La mia scelta di uscire dal M5S è maturata con il tempo. È iniziata, in realtà, dalle elezioni europee del 2014, quando cercavo di far penetrare nel Movimento un’idea molto forte: quella di presentarsi come un movimento euroscettico. Un movimento che mirava ad una critica radicale dell’Unione Europea e, sopratutto, visto nell’ottica italiana, alla critica della moneta unica che faceva e continua a fare danni in Italia. Allora si giocò sull’ambiguità: si parlò di un referendum, l’indicazione non fu precisa e ci fu grande smarrimento quando alla conclusione della campagna elettorale, Casaleggio – già gravemente ammalato – disse poche parole in cui si riabilitava Berlinguer.

Ma allora per quale motivo votare Movimento 5 Stelle e non gli eredi del Partito Comunista? In effetti fu proprio così: 40% per Renzi, 20% per il M5S. Da lì cominciai a maturare l’idea che il M5S non aveva idee precise, cominciava a giocare alla giornata. Insomma: non aveva una visione strategica complessiva. Ci furono poi altri elementi che mi portarono a prendere le distanze. Vedevo il Movimento trasformarsi in un partito, perdendo la sua carica innovativa per essere una critica al sistema di partiti.

Lei è stato definito come l’ideologo del M5S. Si è basato sulla teoria del populismo di Laclau per formulare la narrativa pentastellata? Su quali elementi si fondava il discorso dei pentastellati e quali sono le differenze narrative tra il primo M5S e quello più “istituzionalista”, formale, di oggi?

Non c’è alcuna analogia tra il Movimento delle origini e quello attuale. È una metamorfosi complessiva. Un movimento che si è convertito in un partito e che non da neanche quegli spazi di democrazia che i partiti, in realtà, hanno. È un partito che viene governato attraverso la piattaforma Rousseau, che è qualcosa di estremamente pericoloso, di totalitario, perché ha un codice sorgente chiuso. È esattamente l’opposto di quello che adoperavano i pirati in Germania. Come sanno tutti gli informatici, Il codice chiuso è la negazione della democrazia.

La differenza sostanziale, che fa intendere il cambiamento tra il Movimento 5 Stelle delle origini e quello di adesso, sta nel fatto che il Movimento, alle sue origini, aveva un visione e aveva un visionario, Gianroberto Casaleggio. Il mio ruolo è stato estremamente modesto, di supporto, in una certa fase. I miei scritti apparivano sul blog che non era di Grillo, ma di Casaleggio. Se volete capire la differenza tra il Movimento 5 Stelle di ieri e quello di oggi, basta fare un confronto tra il Blog di quel periodo e il Blog di oggi. Dalla vitalità, la vivacità di allora, è passato all’essere un bollettino di informazione parrocchiale delle attività interne al M5S, Al punto che sembra che lo stesso Grillo abbia deciso di farsene uno tutto suo.

Ha detto che vedeva il M5S trasformarsi, lentamente, in un partito, e che ha perso quella carica innovativa di essere una critica al sistema di partiti. Non crede che fosse obbligatoria e inevitabile una certa istituzionalizzazione del M5S?

Da “uno vale uno” a “uno vale tutto, e il resto non conta nulla”, la differenza è troppo abissale. È stato più di un processo naturale di istituzionalizzazione. È stata una radicale trasformazione, una metamorfosi. Mi chiedo: per andare dove? Per fare cosa? Un movimento deve caratterizzarsi per una sua visione. Anche se la visione si fosse trasformata, quale sarebbe quella del M5S attuale? Un giorno si dice che bisogna ripensare all’Unione Europea, l’altro giorno si dice che è essenziale.

Stesso discorso vale per la posizione sulla NATO. Insomma, qui ci sono problemi fondamentali che non sono stati risolti. Non c’è una visione complessiva che anima il Movimento: manca quella visione che diede una svolta nel 2013. Istituzionalizzazione sì, ma a quale scopo? Per vincere le elezioni? Ma con quale programma, che sembra tanto quello del tanto criticato rigor Monti? Non si fa altro che pensare a ridurre la spesa pubblica. Di altri temi (come l’uscita dall’euro) non se ne parla più. Non si può cambiare idea dall’oggi al domani, vivere di tatticismi, di programmi televisivi, senza avere più una visione. Si lavora soltanto di pancia.

Nel 2013, la grande novità, che generò illusione, fu certamente il M5S. Illusione che sembra essere scemata dopo la trasformazione degli ultimi tempi. Vede altre forze politiche capaci di raccoglierne il testimone, che riescano a generare una illusione, ovvero una visione diversa, innovativa?

La situazione attuale è paradossale. Renzi, che doveva rottamare, è stato a sua volta rottamato (o lo sarà dopo queste elezioni). La carica innovativa del 5 Stelle non c’è più. Che cosa può nascere di nuovo? Le uniche forze che sembrano cercare di sviluppare un discorso che io ho denominato sovranista, un sovranismo debole, che ben si sposa con un progetto federalistico, può essere rappresentato dalla Lega – per la svolta che ha avuto da partito regionalista, financo secessionista -.

Le elezioni politiche diranno se questa forza diventerà dominante all’interno del centrodestra (e allora questo progetto sovranista potrà rappresentare una novità per l’Italia). Nel caso vincesse Berlusconi all’interno dell’alleanza, allora avremo poche novità. Anche se, forse, il programma comune che stanno preparando è l’unica novità di rilievo, considerando che il centrosinistra si presenta diviso e con l’idea di far perdere qualcuno in particolare: ovvero Renzi.

E poi c’è il M5S che con Di Maio, se non troverà il supporto di Grillo, difficilmente riuscirà ad arrivare a un risultato al punto da potersi dire vincitore. Poi c’è da dire che questo sistema elettorale premia le coalizioni. Tenendo presente che la coalizione del centrosinistra è inesistente, io sono pressoché convinto che la vittoria andrà al centrodestra. Interessante, sarà vedere se all’interno del centrodestra prevarrà la Lega di Salvini o Forza Italia di Berlusconi.

Il dato di fatto saliente è che nel 2013 c’era una forza dirompente, a cui molti italiani credevano. Oggi qualcosa del genere non esiste.

In effetti, sono piovute tante critiche sull’utilizzo della piattaforma Rousseau. Inoltre, alcune decisione prese dalla comunità pentastellata in rete sono state by-passate senza troppi fronzoli o, in altri casi, forzate. Lei come avrebbe gestito il potenziale del web, di una piattaforma – quella del primo Blog di Grillo a cui ha fatto riferimento – così influente, seguita e partecipata?

Mi si chiede troppo, non ho competenze informatiche tali da dire come si sarebbe potuta organizzare la piattaforma. Sì, critico la maniera in cui la piattaforma è stata introdotta: ovvero per controllare integralmente il dibattito interno. Si poteva pensare di utilizzare piattaforme a codice aperto. Sarebbe stato un segno di democrazia. Purtroppo si è andati verso la direzione opposta a quella auspicata. Con il sistema introdotto, Casaleggio ha il controllo totale su qualsiasi movimento dei 5 Stelle. Lui e pochi altri controllano la piattaforma. È una piattaforma estremamente chiusa e direi addirittura pericolosa, per un sistema democratico.

Circa il progetto sovranista, ha alcun modello di riferimento, proposto da altre destre europee?

Ho lanciato questo nuovo concetto in filosofia politica, il sovranismo. Lo si trova in due mie pubblicazioni, su Paradoxa (una) e Trasgressioni (l’altra). Io direi che oggi, l’unico modo per contrastare il globalismo – tral’altro in crisi – è quello di recuperare l’idea degli Stati Nazionali e l’idea di sovranità dei popoli. In questo caso ho parlato di un sovranismo debole, differente da quello su cui si sono basati gli Stati Nazionali, ovvero il sovranismo leviatanico.  Tra coloro che hanno studiato il sovranismo non leviatanico troviamo Alain de Benoist, filosofo politico francese, che ormai ha posizioni che vanno oltre la destra e oltre la sinistra.

Oggi la vera crisi, a livello europeo, è delle sinistre. Le sinistre non rappresentano più l’interesse del popolo. Si sono occupati tanto di diritti civili, diritti dei gay e del diritto di famiglia, di tante altre cose. Ma hanno perso completamente il contatto con i bisogni reali e concreti del popolo. Pensiamo al lavoro, alla disoccupazione galoppante, all’immigrazione clandestina. Di tutto questo la sinistra non si è occupata e ciò ha creato praterie per i partiti di destra.

Quello che afferma ricorda il pensiero del filosofo Domenico Losurdo, che racchiude tutte queste problematiche della sinistra nel libro “la sinistra assente”

Si non c’è dubbio. Domenico Losurdo ha ragione. Su questo non ho altro da aggiungere.

Lei ha affermato che Di Maio abbia operato un golpe interno per allearsi con la sinistra. Oltre il dietrofront sul referendum sull’euro, quali altri elementi le fanno pensare a un possibile accordo a posteriori con la sinistra? La vede come una scelta concertata o che dipenda unicamente dal candidato premier dei 5 Stelle?

Il M5S, anche se dovesse essere la prima forza politica, da solo non ha i numeri per governare. La stessa idea delle alleanze, secondo me, fallirà, perché se il centrodestra arrivasse al 40% al plurinominale, vincerebbe automaticamente le elezioni (con questo sistema elettorale). Di Maio ha un’altra strategia ma è fallimentare. Di Maio vuole chiedere l’incarico al Presidente della Repubblica per essere il rappresentante della prima forza politica, che ha preso più voti. Ma in un sistema che premia le coalizioni, con il Presidente che è libero di dare l’incarico a chi vuole, dovrebbe darlo all’alleanza che risulta vincitrice. Il ragionamento di Di Maio è del tutto assurdo. Forse, con Liberi e Uguali e un PD senza Renzi, avrebbero potuto formare una coalizione… Ma questo è un sistema che premia le coalizioni prima. Non si possono fare dopo. E, al momento, l’unica coalizione è quella di centrodestra.

Considerando la realtà attuale, chi è, per lei, il candidato premier ideale per questa tornata elettorale? (Per competenza, da un lato, e per appeal elettorale, dall’altro)

Premier ideale, per me, non c’è. C’è un premier reale che potrebbe essere Salvini. Se la Lega dovesse avere un voto in più rispetto a Forza Italia, in base agli accordi presi, il premier dovrebbe essere lui. SI verificherà questa cosa? Come dice una canzone di Lucio Battisti, lo scopriremo solo vivendo.

Intervista ideata e realizzata da @Alessandro Faggiano.

 

 

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L'autore: Alessandro Faggiano

Caporedattore di Termometro Sportivo e Termometro Quotidiano. Analista politico e politologo. Laureato in Relazioni Internazionali presso l'Università degli studi di Salerno e con un master in analisi politica conseguito presso l'Universidad Complutense de Madrid (UCM).
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