Elezioni Francia: vittoria Macron, colpo di coda del Sistema?

Pubblicato il 9 Maggio 2017 alle 13:42 Autore: Luca Scaglione
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Elezioni Francia: vittoria Macron, colpo di coda del Sistema?

Le ultime elezioni in Europa marcano in modo abbastanza netto il ritorno delle divisioni elettorali di ceto. È evidente; si tratti di legislative o presidenziali. L’elezione di Macron non ha fatto eccezione. Questo dato riflette un’evoluzione significativa del sistema politico, iniziata con lo scoppio della crisi. L’ormai rintronante retorica dello scontro tra partiti dell’establishment e movimenti che esprimono genericamente la protesta contro i gestori del potere politico ne è forse l’esempio più calzante.

Elezioni Francia: vittoria Macron, colpo di coda del Sistema?

Negli anni 90 si erano fatti largo i “partiti pigliatutto”, contraddistinti dal non avere una base elettorale di classe. Oggi, vediamo il ripiegamento di questa “forma”; i partiti percorrono sempre più le divisioni tra strati sociali createsi durante gli anni di crisi sociale. L’alternanza tra destra e sinistra ha perso di senso. Nelle democrazie, svuotate dai processi della globalizzazione e dalla cessione di sovranità, si sono create nuove fratture politiche.

Movimenti che cavalcano il malcontento competono con i surrogati di quei partiti tradizionali che continuano a rilanciare l’idea di un futuro ricco di opportunità. La retorica “ottimista” è la stessa di trent’anni fa; non poteva che esaurire la sua forza propulsiva, venendo sempre più percepita come conservatrice.

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Qualcuno ritiene che la vittoria di progetti come quello di Macron, di Renzi, le stesse dinamiche createsi in Austria e Olanda, non siano altro che il colpo di coda del sistema contro il montare della protesta.

Programmi vaghi, spesso involucri gonfi di retorica, sempre meno politicamente riconoscibili se non come l’espressione di una concezione di democrazia tecnocratica ed efficientista. Un modo di nascondere una continuità di politiche ormai intollerabile dentro un contenitore moderno e modaiolo.

Nell’altro campo, però, le varie sfumature della protesta racimolano consensi soltanto sfruttando la loro pars destruens. I cosiddetti “populismi” si sgonfiano davanti alla necessità di costruire un’alternativa organica e credibileAncora subalterni di fronte al compito, certamente non facile, di sottrarsi alla forza dei poteri economici, intellettuali e mediatici predominanti. Gli stessi che genericamente criticano nelle loro manifestazioni ma non nei loro presupposti. Si parli di Tsipras, come della Le Pen, del Movimento 5 Stelle o di Wilders, financo di Podemos, etc.

Un esempio su tutti: la personalizzazione della competizione politica. Difficilmente questi movimenti riescono a evitare un’impostazione “leaderistica”. Il risultato è quello di sottovalutare la formulazione di un programma articolato e coerente. Una dinamica che spoliticizza le proposte inserendosi nel gioco mediatico di manipolazione permanente della cittadinanza. Se per essa si intende il mero corpo elettorale da contendere a scadenza più o meno prestabilita.

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Oggi si assiste ad una ri-frammentazione dell’offerta politica; persino nei sistemi che favoriscono maggiormente il bipolarismo. Certo, potrebbe essere il sintomo di una nuova stagione in cui le proposte si differenziano, le analisi si sfaccettano, le posizioni si identificano. Un rinnovato pluralismo in democrazie logorate da troppi anni di convergenza programmatica tra i partiti tradizionali. Un segno di vitalità non scontato. Ma è anche, e soprattutto, il segno della crisi. Il segno delle fratture socio-economiche che si riaprono in società sempre meno coese.

Rimane il dubbio che da questa situazione di mutamento del quadro politico possa svilupparsi una reale alternativa in termini di governance. In altre parole, nonostante lo spauracchio sia sempre evocato, non sembra esistano in Europa partiti veramente “anti-sistema”. Partiti, insomma, che godono di un consenso tale da cambiare la direzione politica delle democrazie europee. Non si vede un’alternativa credibile che possa anche indirettamente essere il motore di un cambiamento.

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Una volta perduta “l’autonomia del politico” a favore del mercato e di quei parametri tecnici che ne devono garantire il funzionamento difficilmente si riesce ad immaginare un suo recupero. Più semplice è concepire il problema nei termini della sostituzione di una classe dirigente inefficace con un’altra.

La causa di questo paradosso è forse l’egemonia ancora largamente maggioritaria di un modo operazionale ed efficientista di concepire le liberal-democrazie occidentali.

L’egemonia della “fine della storia” della generazione che ha subito il disincanto del Novecento, che è anche inevitabilmente fine della politica, è più solida di quanto le circostanze ci portino a pensare.

Luca Scaglione