Referendum Turchia: ecco in cosa consiste la consultazione voluta da Erdogan

Pubblicato il 14 Marzo 2017 alle 00:01 Autore: Emanuele Vena
referendum turchia 2017 - il presidente Recep Tayyip Erdogan

Referendum Turchia: ecco in cosa consiste la consultazione voluta da Erdogan

Il 16 aprile la Turchia tornerà alle urne per decidere – tramite referendum – sulla riforma costituzionale voluta dall’attuale Presidente Recep Tayyip Erdogan. Una riforma ed una campagna referendaria che stanno suscitando fervore dentro ma anche e soprattutto fuori dalla Turchia, con i violenti battibecchi tra Erdogan ed alcuni governi europei. Ma quali sono i punti cruciali del progetto?

Referendum Turchia: come ci si è arrivati

Innanzitutto è bene ricordare come si è giunti al referendum. La proposta di riforma avrebbe dovuto superare una delle due soglie prevista dalla Costituzione Turca. In caso di voto favorevole da parte dei 2/3 dell’assemblea, la legge sarebbe immediatamente entrata in vigore. Se invece la maggioranza fosse stata “solo” dei 3/5 – come poi avvenuto – sarebbe stato possibile indire un referendum popolare sul tema.

Pur avendo vinto le ultime elezioni politiche e governando il Paese mediante un esecutivo monocolore, il partito di Erdogan (AKP) non possedeva numeri sufficienti né per l’immediata entrata in vigore né tantomento per ricorrere al referendum. Infatti, il voto del novembre 2015 aveva assegnato ad Erdogan e soci 317 seggi su 550. A rendere possibile il raggiungimento dei 3/5 dei consensi dell’assemblea è stato il sostegno dei nazionalisti del MHP, formazione di estrema destra e terzo partito del Paese, che alle urne aveva ottenuto 40 seggi. Grazie al sostegno del MHP il progetto di riforma ha ottenuto 339 voti, 9 in più del quorum richiesto per poter indire un referendum sul tema.

Referendum Turchia: cosa prevede

Il progetto voluto fortemente da Erdogan implicherebbe una svolta presidenzialista per la Turchia. Infatti, uno dei punti chiave della riforma è l’abolizione del ruolo del primo ministro, sostituito dalla figura dei vicepresidenti.

A testimoniare l’accentramento del potere nelle mani del Presidente è anche il timing elettorale. Se la riforma dovesse passare, il rinnovo del Parlamento (la cui composizione salirebbe dagli attuali 550 membri sino a 600) avverrebbe ogni 5 anni (e non più 4, come accaduto sinora). Inoltre, le elezioni parlamentari si terrebbero lo stesso giorno di quelle presidenziali.

In caso di entrata in vigore della riforma, il Presidente avrebbe il potere di nominare e rimuovere i ministri, oltre che di influenzare il sistema giudiziario. Inoltre, a differenza di oggi, potrebbe continuare ad essere il leader politico del proprio partito.

Uno degli aspetti più chiacchierati della riforma riguarda il numero di mandati presidenziali. Sebbene la riforma abbia confermato il limite di 2 mandati consecutivi, sul punto non sembra esserci ancora sufficiente chiarezza.

Da un lato c’è chi sostiene che con l’entrata in vigore della riforma il conteggio potrebbe ripartire da zero, non calcolando quindi l’attuale mandato di Erdogan. Ciò vorrebbe dire che l’attuale presidente, se rieletto, potrebbe rimanere in carica sino al 2029, quando avrà 75 anni. Al contrario, c’è chi crede che l’attuale mandato vada conteggiato, ritenendo dunque Erdogan idoneo alla presidenza non oltre il 2024.

Un altro punto su cui il dibattito è particolarmente infuocato è la possibilità di messa in stato d’accusa del Presidente. Un meccanismo lungo, complicato ed a soglie crescenti che – secondo i detrattori – renderebbe pressoché impossibile l’impeachment.

Referendum Turchia: cosa dicono sostenitori e contrari (ed i sondaggi elettorali)

I sostenitori della svolta presidenzialista evidenziano la necessità di un governo forte. Una richiesta resa evidentemente ancor più urgente dopo il fallito colpo di stato dell’estate scorsa e i continui attacchi terroristici perpetrati dai combattenti curdi ma anche dall’ISIS. Tra i favorevoli vi è ovviamente l’AKP di Erdogan, ivi compreso l’attuale esecutivo guidato dal premier Yildirim.

Al contrario, gli oppositori della riforma – tra cui diversi costituzionalisti – sottolineano come essa mini alle fondamenta il sistema di checks and balances che attualmente garantirebbe la giusta separazione dei poteri.

Tra i principali oppositori politici vi è il partito filo curdo HDP, che ha già boicottato il voto parlamentare sulla riforma. Contrari al progetto sono anche i repubblicani del CHP, il più importante partito laico del Paese che si oppone alla svolta presidenzialista – ed islamista – voluta da Erdogan.

Referendum Turchia: ecco chi potrebbe essere decisivo

Per vincere il referendum ad Erdogan servirà il 50%+1 dei voti validi. Attualmente lo scenario sembra piuttosto equilibrato, come evidenziato qui sopra nella media dei sondaggi elettorali in vista del referendum. Ecco perché, stante l’opposizione di curdi e laici, a fare la differenza potrebbe essere proprio l’elettorato nazionalista.

Sebbene l’MHP abbia votato quasi unanimemente a favore della riforma, in esso permangono sacche di resistenza. Uno scetticismo figlio di una diffidenza di lungo corso nei confronti di Erdogan. Compattare l’MHP dietro al progetto di riforma diventa dunque uno dei principali obiettivi del Presidente.

Il fallito colpo di stato sembra aver accresciuto nei nazionalisti la voglia di un governo più forte. I toni infuocati usati nelle ultime settimane dal Presidente contro alcuni governi europei potrebbero fare il resto. Un’offensiva a difesa del ruolo e dell’autonomia della Turchia, temi cari ai nazionalisti. Il tutto per garantire ad Erdogan quel sogno presidenzialista – o sultanato islamista, secondo i suoi detrattori – a lungo inseguito.

L'autore: Emanuele Vena

Lucano, classe ’84, laureato in Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna e specializzato in Politica Internazionale e Diplomazia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova. Appassionato di storia, politica e giornalismo, trascorre il tempo libero percuotendo amabilmente la sua batteria. Collabora con il Termometro Politico dal 2013. Durante il 2015 è stato anche redattore di politica estera presso IBTimes Italia. Su Twitter è @EmanueleVena
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