La verità su Ustica: cosa resta ancora da chiarire?

Pubblicato il 7 Febbraio 2017 alle 09:28 Autore: Gabriele Maestri
dc9 ustica

La verità su Ustica, cosa resta da chiarire

Ci sono vicende drammatiche di cui è inevitabile sentir parlare (anche se sono accadute prima della propria nascita) e per le quali non bastano indagini, perizie, esami, testimonianze, migliaia di pagine di atti giudiziari e quant’altro può accadere in quasi 37 anni, per poter mettere la parola «Fine», per dire che tutto ciò che conta è stato chiarito e non occorre interrogarsi oltre. Fa parte di queste vicende quanto accadde il 27 giugno 1980 all’aereo Dc9 della compagnia Itavia, partito (in ritardo di quasi due ore) da Bologna, diretto a Palermo, ma rimasto legato al nome di Ustica perché quella sera precipitò nel tratto di mare tra l’isola siciliana e quella di Ponza, provocando la morte di tutte le 81 persone a bordo.

ustica dc9 itavia

Sulla tragedia di Ustica, al di là delle pagine giudiziarie e delle cronache nere e gialle, si è scritto molto. L’ultimo libro – per ora – pubblicato sul tema l’ha scritto Eugenio Baresi, deputato per una sola legislatura (la XII, dal 1994 al 1996) per il Centro cristiano democratico: in quegli anni Baresi fu segretario della Commissione bicamerale terrorismo e stragi, allora presieduta da Giovanni Pellegrino. Ustica. Storia e controstoria (edito da Koinè) rappresenta il tentativo di affermare quella che, secondo l’autore, è l’unica verità accertabile: «il Dc9 Itavia non è stato abbattuto da un missile e non vi è stata alcuna battaglia aerea», come invece una «lunga marcia della disinformazione» dichiara da anni.

eugenio baresi ustica

Eugenio Baresi

Il missile sul Dc9 a Ustica? Ma quando mai… al più una bomba

L’ex parlamentare è fermo nel sostenere che quella tesi sarebbe destituita di ogni fondamento, mentre i vari accertamenti dei periti avrebbero piuttosto dato credito all’ipotesi di un’esplosione interna, causata da una bomba (secondo alcuni collocata all’interno della toilette o, comunque, nella parte posteriore) che avrebbe portato l’aereo a disintegrarsi. Da più parti, invece, si sarebbe seguita la pista del missile: questo, nelle varie versioni susseguitesi negli anni, sarebbe stato lanciato da un aereo militare (francese?) affiancatosi a quello civile, nel tentativo forse di colpire uno o due aerei – forse Mig libici? – che si sarebbero «attaccati alla pancia del Dc9», in un punto non meglio precisato del suo percorso, per non essere individuati dai radar; altra possibilità, non esclusa da alcuni periti, era quella della «quasi collisione» con un altro velivolo.

Queste idee circa la genesi dell’incidente – rilanciate nel tempo da diverse parti, compreso il presidente della Repubblica emerito Francesco Cossiga – per Baresi sono del tutto infondate, contraddette tra l’altro dai resti del Dc9 (che sarebbero incompatibili con l’esplosione di un missile) e dall’assenza di altri aerei in prossimità di questo, secondo quanto sarebbe risultato dai radar (al di là di un paio di segnali rintracciati da un solo radar di Fiumicino che, stando ai periti, non avrebbero indicato realmente la presenza di aerei e che, comunque, in quella posizione, non avrebbero potuto colpire il Dc9 Itavia).

Secondo Baresi si sarebbe dovuto «indagare sul luogo dal quale il volo ha preso origine e dove è possibile sia avvenuta una violazione delle condizioni di sicurezza dell’aeromobile», dunque mettere al centro dell’attenzione l’aeroporto di Bologna, luogo in cui – anche considerando il ritardo con cui l’aereo decollò – poteva essere eventualmente stato collocato l’ordigno. Non è evidentemente questa la tesi di chi sostiene, come faceva ancora lo scorso anno su Articolo21 il cronista di lungo corso Valter Vecellio, che il Dc9 Itavia «che quella sera non si doveva trovare lì, è stato abbattuto, nel quadro di un vero e proprio scenario di guerra».

ustica storia e controstoria

Nel libro Ustica. Storia e controstoria sono ripercorse le varie fasi della lunghissima vicenda giudiziaria, dalla corposa fase istruttoria curata in gran parte dal giudice Rosario Priore ai vari giudizi in sede penale (nei confronti di alcuni militari dell’Aeronautica, per i loro presunti depistaggi) e civile. Nella ricostruzione (animosa, anche se a tratti non facile da seguire) Eugenio Baresi ripercorre, dal suo punto di vista, tutto l’affaire, sottolineando come i tre gradi del processo penale – concluso con l’assoluzione piena dei militari – abbiano visto smentita nei fatti la tesi del missile, per la mancanza di prove circa la presenza di altri aerei in cielo in quella sera del 27 giugno 1980.

Non altrettanto, invece, emerge dalle cause civili, intentate da familiari delle vittime, da Itavia e da chi ne era proprietario, con cui si chiese ai ministeri competenti di rispondere del mancato controllo dei cieli (per prevenire il disastro) e, in alcune cause, per avere ostacolato l’accertamento dei fatti. Poiché i nuovi riti processuali non prevedono più l’unità della giurisdizione, i processi penali e civili generati dagli stessi fatti possono portare ad accertamenti diversi: così, a fronte del processo penale con gli esiti detti, esistono varie sentenze civili che invece ritengono veritiera o almeno più probabile l’ipotesi dell’abbattimento del Dc9 da parte di un missile e, sulla base di ciò, hanno condannato i ministeri a risarcimenti consistenti. Un punto, questo, su cui l’ex deputato insiste con pervicacia: se la tesi del missile era conveniente per alcuni sul piano politico, permettendo loro di attaccare paesi “amici” e alleati nella Nato, questa sarebbe stata sostenuta a spada tratta e con interesse anche da coloro che hanno chiesto risarcimenti (che, sembra sostenere implicitamente Baresi, non ci sarebbero stati in caso di bomba). Una ricerca, quella dei ristori economici, secondo l’autore del libro «spasmodica e non giustificabile dal necessario e corretto riconoscimento di un danno patrimoniale e per le vittime ancor più morale e famigliare».

Certo, pure l’ipotesi della bomba a bordo del Dc9 lascia aperte dubbi di peso: quando sarebbe stato piazzato l’ordigno? Da chi? E con quali mandanti? Qui Baresi ipotesi precise non ne fa (e non è nemmeno compito suo, a pensarci), ma lascia solo intendere dove secondo lui si poteva cercare: è l’ex deputato a citare un «tacito accordo che prevedeva l’irresponsabilità dei comportamenti dei membri dell’Organizzazione della liberazione della Palestina (OLP) in cambio del considerare l’Italia nazione non soggetta ad attentati», accordo mai confermato pubblicamente che sarebbe stato messo in pericolo sia da alcune operazioni di polizia svolte dalla fine del 1979 (sequestro di armi e arresto di un responsabile del Fronte di liberazione della Palestina) sia dall’accordo del 1980 con Malta per sottrarre l’isola all’influenza della Libia (mentre i sostenitori del missile, compreso il giudice Priore, immaginano piuttosto un intervento della Francia per dare «una lezione all’Italia, per i rapporti privilegiati intrattenuti con Tripoli»: la citazione è tratta da Intrigo internazionale, il libro-intervista uscito nel 2010, con Priore in dialogo col giornalista Giovanni Fasanella).

giovanardi ustica

Ancora documenti segreti su Ustica?

La priorità di Baresi emerge con chiarezza dal libro: «Far conoscere tutti i documenti coperti dal segreto di Stato potrebbe connettere questi fatti con la verità: si volesse, sarebbe una soluzione assolutamente semplice per l’amore del vero che tutti dovrebbe unire». Il riferimento è, innanzitutto, alle carte «decisive e sconvolgenti» per l’affaire Ustica che Carlo Giovanardi, ora senatore di Idea ma nel 1994 nel Ccd con Baresi, l’anno scorso disse di aver visionato come membro della commissione d’inchiesta sulla morte di Aldo Moro (il deputato Pd Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari delle vittime della strage di Bologna, commissario come lui, lo sconfessò; eppure Giuseppe Fioroni, presidente della commissione, intervenuto alla presentazione del libro a Brescia, dalle sue scarne dichiarazioni sembra non togliere credito a una “pista palestinese”). Giovanardi, tuttavia, disse di non poter rivelare il contenuto di atti classificati come “segretissimi”, se non a rischio di un’incriminazione e di una condanna per un atto che per alcuni – come Valter Vecellio – sarebbe di sana disobbedienza civile, mentre per lo stesso Baresi sarebbe di tradimento, rifacendosi alle leggi vigenti che – siano ritenute giuste o meno – vietano di pubblicare atti secretati dalle autorità.

Al di là delle polemiche (che hanno visto opporsi a Giovanardi e Baresi Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione dei Parenti delle Vittime della Strage di Ustica e anch’ella ex segretaria della commissione terrorismo e stragi come Baresi), una considerazione di buon senso appare necessaria. Se ci sono carte segrete, anche solo lontanamente riconducibili a Ustica come ad altre vicende tristi dell’Italia degli anni ’70-’80 (dal caso Moro alle varie stragi), è tempo che non lo siano più, per nessuno: chiunque deve poter conoscerne il contenuto (a costo di non trovarci nulla di utile) e nessuno deve poter più dire «io so, ma non posso dire di più», come troppo spesso si è letto o sentito nel corso degli anni.

Fare «a tutti la carità della verità», per riprendere una nota espressione di don Giacomo Alberione, è doveroso. Qualunque cosa possa emergere da carte eventualmente ancora segrete, averne ancora paura dopo quasi quarant’anni – e con un contesto politico europeo e mondiale del tutto cambiato – apparirebbe davvero poco maturo.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
Tutti gli articoli di Gabriele Maestri →