Giorno della Memoria: che senso ha parlare ancora di Olocausto?

Pubblicato il 27 Gennaio 2017 alle 15:35 Autore: Andrea Balossino
giorno della memoria

Giorno della Memoria: che senso ha parlare ancora di Olocausto?

Siamo arrivati al Giorno della Memoria. Viene spontaneo chiedersi che senso abbia oggi, a 72 anni dalla liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa, ricordare la Shoah e le brutalità del nazismo mentre ogni notizia di attualità sembra volerci precipitare di nuovo nello stesso inferno. L’Europa dopo Brexit è esposta al nuovo vento di destra, nazionalista e “sovranista”, alimentato dal dramma dei migranti e dalla strategia del terrore dell’Isis.

Giorno della Memoria: che senso ha parlare ancora di Olocausto?

Il Front National, Alternative für Deutschland e in Italia il nuovo soggetto di Salvini e Meloni (con il probabile sostegno del Movimento 5 Stelle), ma anche i nazionalisti austriaci, polacchi, olandesi preparano l’ultimo assalto all’Unione, faticosamente costruita sulle macerie dell’Europa dei popoli distrutta dalle rivalità di quegli stessi nazionalismi. Gli Stati Uniti hanno già svoltato, con il nuovo presidente che ha usato le armi dell’intolleranza, menzogne e una retorica “divisiva”, irrispettosa e violenta, per vincere le elezioni. Stiamo sdoganando tutto il repertorio di odio e intolleranza causa degli orrori che oggi dovremmo ricordare.

Come abbiamo fatto a ridurci in questa condizione? Come abbiamo potuto tollerare in questi anni il negazionismo, la strisciante apologia dei fascismi che infetta ogni angolo di internet, il razzismo di certi politici, il tutto senza fare nulla? Come è possibile che sotto gli articoli dei giornali che parlano di immigrazione molti commentino evocando “i forni” senza la minima vergogna?

Chi oggi vuole davvero ricordare deve rendersi conto che quell’inferno non rischia di tornare, è già qui e non se ne è mai andato. Non possiamo più guardare i binari e la torre di Aushwitz pensando solamente al passato e la colpa è nostra, perché non abbiamo vigilato abbastanza, non ci siamo impegnati, perché il ricordo e la memoria da soli non bastano. Non abbiamo infranto quelle barriere e non abbiamo mai davvero sconfitto i nazifascismi per una ragione molto semplice e allo stesso tempo terribile: il nazifascismo non è solo un’ideologia, è la malvagità umana che diventa Stato, è l’oscurità dentro ognuno di noi.

Combatterlo è un dovere morale e di civiltà, ma la lotta non si è certo chiusa con la morte di Hitler o con la sconfitta della Germania nazista. Trasformare questa eterna battaglia contro il peggior prodotto dell’umanità occidentale in ricordo e memoria ci ha fatto credere che il problema fosse storico, concluso, che la dimensione dell’orrore e il suo ricordo sempre rinnovato fossero sufficienti ad evitare che quella malvagità tornasse di nuovo a perseguitarci. Ci sbagliavamo, perché i testimoni scompaiono e i ricordi si affievoliscono.

In questo presente così difficile, con il futuro che incombe sempre più incerto e minaccioso e le gravi sfide che ci attendono, questa giornata deve necessariamente assume significati nuovi e la memoria deve diventare insegnamento concreto, permettendoci di contrastare ancora una volta l’orrore che sta tornando. Dobbiamo imparare a vivere e sentire questa giornata in modo diverso perché costituisce la prima linea di difesa da odio e intolleranza e dobbiamo rimanere vigili, imparando a riconoscerli dietro i loro nuovi travestimenti moderni.