INTERVISTA Giuseppe Civati (Possibile): lavorare su democrazia diretta e valore della rappresentanza

Pubblicato il 31 Ottobre 2016 alle 15:18 Autore: Alessandro Faggiano
Civati possibile

Intervista esclusiva di TP a Giuseppe Civati

Termometro Politico ha raggiunto Giuseppe Civati, Segretario Generale di Possibile ed esponente del ‘No’.  Con l’ex-candidato alla segreteria del PD, uscito dal partito per divergenti prospettive sull’indirizzo politico, abbiamo parlato di Referendum, di Possibile, della crisi dell’Ue e di ‘fantapolitica’.

Civati su Referendum e Riforma Costituzionale

On. Civati, cominciamo dalla riforma costituzionale: su cosa si trova maggiormente d’accordo con la riforma sottoposta a referendum? Su cosa, d’altro lato, si trova maggiormente in disaccordo?

Quello su cui mi trovo più d’accordo, nonostante non ci sia la chiarezza che avremmo voluto ed emendato (su questo sarò coerente fino alla noia) riguarda la democrazia partecipativa. Se c’è un elemento di grande incertezza, rispetto alle Iniziative di Legge Popolare (dove aumentano le firme richieste) il segnale positivo è la verifica del quorum rispetto alle precedente elezioni politiche: questa è una innovazione positiva. Rimane il dubbio, però, del perchè abbiano aumentato il numero di firme da raccogliere, a fronte delle modalità di raccolta. Non citerò l’abolizione del CNEL perchè è un po’ come tirare in tribuna. La riforma si contraddice da sola, ci sono degli omissis, passaggi vertiginosi, causati dall’approccio aggressivo del governo. Anche questo è molto discutibile, sia nel metodo che nella sostanza.

In merito alla questione processuale, la personalizzazione del referendum da parte di Renzi è stato un fattore importante o marginale, per promuovere il ‘No’ al referendum?

Sto per pubblicare la rassegna delle cose che ho detto dal 2014. Lo dicevo fin da prima che Renzi diventasse premier. Ancor prima della personalizzazione del referendum e del dramma di questa legislatura, c’è un post in cui cito Renzi che diceva “o me o il senato”. Forse non era il caso di costruire in questi termini una riflessione sulla Costituzione, con un Parlamento appena dichiarato incostituzionale  – dal punto di vista della sua composizione elettorale -. La  cautela, quindi, c’era fin dall’inizio. È chiaro che Renzi rischia di perdere un referendum che sulla carta doveva stravincere, perché i sondaggi di 6 mesi fa davano il ‘Si’ al 70%. C’è qualcosa che non va e che non è andato fino a sabato pomeriggio. Prima del giusto appello dell’unità nazionale – che già in agosto mi costò un accusa di ‘venduto al governo’  – vedo sommessamente che sabato (alla manifestazione in Piazza del Popolo) Renzi ha parlato di “Italia dell’odio”, di una “Italia divisa, che ha paura”. Io ho paura del terremoto e delle disuguaglianze, non della Costituzione. Renzi ha costruito tutta la sua carriera politica e strategia elettorale sull’individuazione di un nemico, che si chiami D’Alema o Civati. Ovviamente tutto ciò gli torna indietro come un boomerang.

La presenza di Gianni Cuperlo in Piazza del Popolo, a Roma, sembra essere un segnale di apertura – da parte della minoranza dem – al referendum. Cosa ne pensa della sua scelta?

Io voglio bene a Cuperlo, forse non riesco a prendermela con lui quanto dovrei. Non capisco il selfie in piazza con la Boschi e la sua presenza. Questo è un po’ come i 10 piccoli indiani. Prima se ne andò Pastorino sulla Liguria, poi Civati sulla legge elettorale. Ora tutti fingono che quell’abominio non ci sia stato. Poi D’Attorre, Bersani e Speranza che dicono ‘No’. Io vi chiedo di fare una indagine su quanti siano passati dal ‘Si’ al ‘No’. La prima ragione, è che la riforma non convince. La seconda, è che inizialmente non volevamo dividere il Paese. I piccoli indiani sono arrivati a nove. Manca il decimo che è Cuperlo. Due dei suoi competitori al congresso di appena tre anni fa sostengono il ‘No’. Evidentemente quando perdi pezzi c’è qualcosa che non va. Avevo solo da perdere uscendo dalla maggioranza, ma mi sono allontanato da questo, consapevole di tutto ciò che avrebbe comportato.

Sembra che la minoranza dem abbia deciso di barattare la modifica della legge elettorale per un ‘Si’ alla riforma costituzionale.

Sostengo che bisogna votare ‘No’ a prescindere. Poi posso fare due annotazioni. L’Italicum si può definire come l’aggravante ed è nata, tra l’altro, sullo stesso tavolo del Nazareno. La cultura politica è quella, del renzismo (che non so se si possa definire come una filosofia politica o come stile comunicativo). In ogni  caso, direi a Cuperlo e Bersani di non barattare la Costituzione per nessuna ragione al mondo.

Sarebbe disposto a scambiare un appoggio alla riforma costituzionale per un’altra riforma? Su cosa si concentrerebbe e perché?

La Costituzione non può essere subordinata a nessuna riforma, per questioni logiche. Ciò che si può fare, indipendentemente dall’esito del referendum, è lavorare sul Senato – quel piccolo mostro inspiegabile, una vera anomalia. Si potrebbe lavorare sulla democrazia diretta. Bisogna tornare a una gestione molto selettiva dei Voucher, il quale nasconde un vero e proprio abominio, che nasconde una forma di schiavitù. Possiamo parlare di incentivi, Non esiste che si sconfini sotto i due-tre euro all’ora. Se dovessi aprire il dibattito, cercando di chiudere un occhio sulla riforma costituzionale, sarebbe certamente su questioni di impatto sociale.

Civati, Possibile e l’Europa

Possibile richiama – in stile e contenuti – il più celebre Podemos spagnolo. In che termini si è ispirato al partito di Pablo Iglesias? Cosa vi accomuna e cosa vi differenzia maggiormente?

Possibile per me è la risposta a chi dice che non ci sono alternative, non per richiamare Podemos. Lo scontro “sistema VS anti-sistema” è pericoloso. La vera vicinanza è su due cose, sul quale Podemos è stato un modello. Il primo, è la rappresentazione della frattura della rappresentanza. Nonostante si confondano erroneamente, la proposta politica di Podemos è decisamente più articolata rispetto a quella del Movimento 5 Stelle. Oltre alla progettualità, c’è il tema della rappresentanza. Loro sono stati favoriti da una grande mobilitazione – e per questo consiglio l’ultimo libro di Amalia Signorelli -. Questo è un tema politico centrale, non è solo una questione accademica. Ciò che noto in ogni ora della giornata politica, è che le persone non si fidano più di nessuno. Impianto culturale, strategia e valore della rappresentanza sono le cose che più ci accomunano e ci tengono più vicini, nonostante loro siano molto più ‘anti-castali’ di me. Credo che Podemos sia molto più preoccupato di dare immediatamente la spallata, bisogna avere più calma. Concettualmente, in politica bisogna costruire anche in relazioni con gli altri, altrimenti fai un altro lavoro.

Unione Europea: crede che la crisi di legittimità dell’ UE dipenda da questioni strutturali (e che pertanto sia necessario riformare le istituzioni comunitarie) o che questa delegittimazione sia legata a una questione genuinamente politica?

Questa è la domanda più bella e andrebbe fatta a tutti i politici europei, ed è assolutamente la seconda. Chi contesta le istituzioni in realtà contesta chi sta compiendo le politiche nel corso degli ultimi anni. Il problema è soprattutto di impostazione politica e di ottusità. Io non sono anti-europeista nel senso burocratico (e ogni volta che Renzi lo afferma mi si accappona la pelle, in quanto l’Italia ci dovrebbe stare, nelle sedi delle burocrazie europee, in maniera decisamente più autorevole). La mancanza di strategia e il costante rinvio su temi scottanti (come nel caso dell’evasione fiscale delle multinazionali). La seconda – come dice Varoufakis – dipende anche dalla questione della rappresentanza. Fanno tutti lo stesso discorso, sia i governi che i populisti. Da destra a sinistra, dicono le stesse cose. Forse bisognerebbe lavorare proprio in quei termini lì. Bisognerebbe lavorare sui contorni di una Istituzione con contorni democratici. Ribadisco che, in ogni caso, è un problema di volontà politica, per esempio si è scelto di “allargare a est” piuttosto che l’area mediterranea. Per me, questo è un errore.

Civati e un po’ di fantapolitica

On. Civati, passiamo alla ‘fantapolitica’. In caso di crisi di governo (provocata dalla possibilità che vinca il ‘No’ alla riforma) proverebbe a candidarsi come primo ministro con Possibile o sarebbe disposto ad appoggiare qualsiasi candidato del PD?

Non escludo che in un Paese strampalato come il nostro si possa rieleggere Renzi. In caso di vittoria del ‘Si’, credo che si andrebbe a votare presto, con una legge elettorale “impacchettata” con una modifica parziale da parte della consulta. Non ho interesse a candidarmi e a far diventare Possibile l’unica soluzione – in quanto contraddirei ciò che ho detto prima -. È chiaro, però, che la forma di Possibile e la ricerca di un Governo e di una rappresentanza di qualità, non può avere come alleato il PD. Dispiace che per Sinistra Italiana ci sia ancora un “congresso aperto” su questo tema. Proprio per eventuali riformulazioni future, con questo PD non ci si può andare. Se si va adesso non si cambia, si fa la fine di Cuperlo (con tutto il rispetto per Gianni).

Nell’ipotesi di un ballottaggio tra M5S e coalizione di centrosinistra, si prevede un equilibrio sostanziale e anche un appoggio importante può essere decisivo. On. Civati, chi supporterebbe nell’eventualità del ballottaggio PD/M5S?

A beneficio di chi dice che abbia fatto campagna per i 5 Stelle a Roma, io ero per l’astensione ma venivo mandato a quel  paese perché tutti votavano la Raggi. Io sono convinto che entrambe le formule proposte non vadano bene, e non per terzismo, ma perché siano due facce della stessa medaglia. C’è anche una sovrapposizione tra Renzi e Di Maio nei modi, negli atteggiamenti e nella forma di proporsi politicamente. Se ci fosse, invece, un sistema elettorale a doppio turno di collegio (che non sarebbe utile né a Civati né ai partiti di minoranza di sinistra) tra due candidati diventerebbe molto più interessante. Il trasversalismo andrebbe in difficoltà. Avremmo un Parlamento più libero e i deputati rappresenterebbero realmente anche la comunità. Magari i risultati non si saprebbero il giorno stesso ma almeno non sarebbe un trucco da prestigiatori.

Intervista di Alessandro Faggiano per Termometro Politico

L'autore: Alessandro Faggiano

Caporedattore di Termometro Sportivo e Termometro Quotidiano. Analista politico e politologo. Laureato in Relazioni Internazionali presso l'Università degli studi di Salerno e con un master in analisi politica conseguito presso l'Universidad Complutense de Madrid (UCM).
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