Un miliardo e mezzo di posti di lavoro a rischio (sì, un miliardo e mezzo)

Pubblicato il 5 Aprile 2016 alle 09:41 Autore: Antonio Scafati

Un miliardo e mezzo di posti di lavoro a rischio (sì, un miliardo e mezzo)

Un miliardo e mezzo di posti di lavoro sono potenzialmente a rischio. Esatto, non avete letto male: un miliardo e mezzo. Un’esagerazione? No, soltanto le estreme conseguenze che in futuro i cambiamenti climatici potrebbero avere sulla disoccupazione.

Il motivo è semplice. Circa la metà della forza lavoro mondiale (un miliardo e mezzo di persone, appunto) è occupata in settori che hanno a che fare direttamente o indirettamente con l’acqua. Considerato che tutti gli studi sui cambiamenti climatici mettono l’acqua in testa alle risorse a rischio da qui ai prossimi dieci anni, si capisce perché non c’è da stare allegri.

L’acqua è un problema nella maggioranza dei paesi africani. Lo è in vaste aree dell’America Latina. Stesso discorso per l’India e parte del Sud-Est asiatico. Si tratta di zone ampiamente popolate: la disponibilità di risorse idriche ha e avrà riflessi anche sull’economia e di conseguenza sulla disoccupazione.

Un miliardo e mezzo di posti di lavoro a rischio

Il lavoro e i cambiamenti climatici

L’agricoltura, tanto per cominciare. Non esiste campo coltivato senza acqua. E senza coltivazioni non ci sono agricoltori. In giro per il mondo ci sono un miliardo di persone che dipendono dall’agricoltura. Siccità, desertificazione e inondazioni avranno un impatto significativo sui livelli di occupazione del nostro pianeta. Il processo è in atto e i danni sono già calcolabili, anche nelle economie più avanzate. Il World Economic Forum (fondazione senza fini di lucro con sede in Svizzera) cita ad esempio il caso della siccità che ha colpito la California nel 2014: 17.000 persone hanno perso il loro posto di lavoro. Si tratta del 3,8 per cento di quelli che venivano impiegati nelle aziende agricole.

Molte industrie necessitano di acqua per tenere in vita le proprie produzioni, ecco perché le aziende tengono conto delle risorse idriche quando si tratta di prendere decisioni strategiche. In Africa la SABMiller (secondo produttore di birra al mondo) ha di recente dichiarato che l’espansione in nazioni come lo Zambia o la Nigeria potrebbe non essere conveniente considerata la scarsità di risorse idriche nei paesi. Non solo: gli stabilimenti già presenti potrebbero essere destinati a chiudere se la competizione per accaparrarsi l’acqua a disposizione dovesse farsi più aspra.

Il turismo non è fuori pericolo. Il Sud-Est asiatico è stato visitato da mezzo miliardo di persone nel 2014, un numero che ha messo a dura prova le riserve d’acqua nella regione. Alla lunga, l’effetto dei cambiamenti climatici potrebbe incidere. Su scala planetaria, infatti, il turismo dà lavoro a circa 285 milioni di persone.

Sommando, ecco che si arriva al quel miliardo e mezzo: lo scenario peggiore, chiaramente. Prima di arrivare a tanto, ci sono tappe intermedie con cui fare i conti. Un grado in più sul termometro può influenzare anche il lavoro che facciamo e che potremmo non fare più.

L'autore: Antonio Scafati

Antonio Scafati è nato a Roma nel 1984. Dopo la gavetta presso alcune testate locali è approdato alla redazione Tg di RomaUno tv, la più importante emittente televisiva privata del Lazio, dove è rimasto per due anni e mezzo. Si è occupato per anni di paesi scandinavi: ha firmato articoli su diverse testate tra cui Area, L’Occidentale, Lettera43. È autore di “Rugby per non frequentanti”, guida multimediale edita da Il Menocchio. Ha coordinato la redazione Esteri di TermometroPolitico fino al dicembre 2014. Follow @antonio_scafati
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