Prezzo del petrolio: no dell’Iran all’accordo Russia-Arabia Saudita

Pubblicato il 18 Febbraio 2016 alle 09:33 Autore: Irene Masala
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Prezzo petrolio: no dell’Iran all’accordo Russia-Arabia Saudita

La Russia e l’Arabia Saudita hanno raggiunto un accordo, ancora in fase preliminare, che prevede il congelamento dei livelli di produzione del greggio ai livelli toccati l’11 gennaio scorso. L’intesa è stata raggiunta nei giorni scorsi a Doha durante un vertice a porte chiuse tra i ministri dell’Energia di Russia e Arabia Saudita, insieme a quelli del Qatar e del Venezuela. La bozza, che prevede diversi interventi a sostegno del mercato del petrolio, che ha toccato livelli minimi negli ultimi tredici anni (meno di 30 dollari a barile), dovrà ora essere discussa per raggiungere una linea comune. Infatti, una delle clausole dell’accordo di Doha è proprio quella che altri paesi produttori di peso, Opec e non Opec, seguano la stessa linea. Riscontri positivi sul congelamento dell’output sono già arrivati dall’Iraq, dal Kuwait e dagli Emirati Arabi Uniti che si sono dichiarati favorevoli ad accogliere qualunque decisione utile a stabilizzare i prezzi del petrolio.

Prezzo del petrolio: il no dell’Iran

Il primo scoglio che l’accordo dovrà superare è rappresentato dall’Iran. Appena uscito dal vortice delle sanzioni che per anni ne hanno castrato l’economia (nel 2010 produceva 3,8 milioni di barili al giorno), l’Iran non ha intenzione di rinunciare all’aumento della produzione di petrolio finché non sarà tornato ai livelli pre sanzioni.

“Chiedere all’Iran di congelare il suo livello di produzione di petrolio è illogico. Abbiamo più volte detto che l’Iran aumenterà la sua produzione di greggio fino a raggiungere il livello di produzione pre-sanzioni”, queste le parole di Mehdi Asali, inviato iraniano presso l’Opec  che continua: “quando l’Iran era sotto sanzioni, alcuni paesi hanno aumentato la loro produzione, causando il calo del prezzo del petrolio. Come possono aspettarsi ora che l’Iran inizi a cooperare pagandone il prezzo?” L’economia iraniana è fortemente legata alle esportazioni di greggio e Teheran ha consegnato il suo primo cargo post-sanziosi all’Europa solo all’inizio di questa settimana, puntando a ristabilire nel breve periodo la sua posizione nel mercato petrolifero.

Il contraccolpo della decisione iraniana assume un peso specifico sul tavolo delle trattative, ridimensionando la portata dell’accordo: “si tratta di un annuncio di congelamento della produzione tra paesi la cui produzione non è nemmeno cresciuta di recente” –  ha dichiarato Eugen Weinberg, capo della ricerca materie prime presso la Commerzbank di Francoforte – “se l’Iran e l’Iraq non faranno parte dell’accordo, questo non varrà lo sforzo che è stato fatto”.

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La pericolosa doppia strategia dell’Arabia Saudita

Nella partita del petrolio Russia e Arabia Saudita la fanno da padrone. Queste due nazioni sono infatti le maggiori produttrici di petrolio greggio al mondo. La Russia, che a gennaio ha prodotto circa 10,9 milioni di barili al giorno, punta probabilmente a dissipare nel mercato energetico le nubi che si sono addensate sulla questione siriana. Un’intesa con l’Arabia Saudita ha il duplice valore di regolare il mercato del petrolio e di dividere il fronte anti Assad, con l’obiettivo di interporsi tra la dittatura saudita e la Turchia.

L’Arabia Saudita, che sempre a gennaio ha prodotto 10,2 milioni di barili al giorno, gioca un’altra partita. È stata proprio Riyad, infatti, a reagire all’iniziale crollo del prezzo del greggio incrementando la produzione con ricadute notevoli sull’economia dei vari paesi. La mossa saudita poteva avere varie interpretazioni: da una parte poteva servire a mettere all’angolo proprio quei paesi con i quali ora si è giunti a un accordo, oppure poteva essere letto in chiave anti Usa, nazione su cui i sauditi hanno perso potere a causa della quasi realizzata indipendenza energetica. Ma come sottolinea il ministro saudita del Petrolio Ali al- Naimi, “la ragione per cui siamo d’accordo su un potenziale congelamento della produzione è perché, semplicemente, si tratta dell’inizio di un processo che valuteremo nei prossimi mesi nei quali decideremo se abbiamo bisogno di altre misure per stabilizzare e far crescere il mercato”. Perciò, qualunque fosse la strategia iniziale, oggi si è dovuta adattare.

L'autore: Irene Masala

Specializzata in Editoria e giornalismo e appassionata di geopolitica e Medio Oriente. Negli ultimi anni ho viaggiato tra Libano, Turchia, Israele/Palestina, India e Messico grazie a diversi progetti che mi hanno permesso di conoscere da vicino le realtà socioculturali di questi Paesi così diversi tra loro. Al momento frequento il master della Business school del Sole24Ore in Giornalismo economico e politico e collaboro come editor e traduttrice per diverse testate.
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