La minestra e la finestra: perché il Partito Democratico ha sbagliato campagna.

Pubblicato il 24 Maggio 2014 alle 17:50 Autore: Giovanni Laccetti

Ora di novembre ci spiegavano che Matteo Renzi, conquistando la segreteria che era di Epifani, avrebbe ribaltato le sorti non solo del Partito Democratico e nemmeno della sinistra italiana, ma proprio di tutto il Paese.

Veicolare un simile messaggio ha richiesto uno sforzo comunicativo ingente e continuato perché, sebbene sia impossibile contraddire Carlo Freccero quando spiega come la comunicazione non abbia memoria, è comunque difficile far passare per predestinato alla vittoria uno che ha preso una carrettata di schiaffi nell’unica competizione di rilevanza nazionale alla quale ha partecipato, per giunta da un avversario al quale la comitiva globale avrebbe poi appiccicato l’etichetta di “perdente”.*

Perché uno che aveva perso di brutto contro quello che aveva quasi vinto avrebbe dovuto essere il catalizzatore di folle che la sinistra da decenni aspettava?

La strategia scelta per costruire questa impressione, per quello che si può vedere da fuori, risulta molto efficace nel breve periodo e si basa su due direttive principali: da una parte la diffusione del sentore che le primarie (stra)perse fossero truccate e dall’altra la dichiarazione di essere in grado di conquistare gli elettori delusi da Silvio Berlusconi, almeno in buona parte (e con la complicità di Berlusconi stesso!).

Grazie a questa strategia, Matteo Renzi ha potuto vincere la segreteria con una maggioranza ancora più grande di quella con la quale era stato battuto da Bersani alle primarie. Si è scelto poi di descrivere chi aveva votato per gli altri candidati come troppo vecchio per capire il cambiamento o come interessato a mantenere lo status quo per motivi poco limpidi. Così si è chiusa la campagna per la segreteria.

Alla campagna attuale, questa volta per le Elezioni europee, si è giunti dopo una scalata alla premiership considerata universalmente una pugnalata tra le scapole di Letta e dopo una serie di promesse non mantenute per i primi cento giorni di governo (la riforma della PA è meno di un embrione, la rivoluzione fiscale non è avvenuta e di quella della giustizia non si vede l’ombra, per non parlare della legge elettorale che sembrava blindata ed è invece evaporata insieme alle ultime nevi con la primavera).

C’era allora una scelta molto semplice da compiere: riprendersi gli elettori di sinistra delusi dal trimestre di Governo o continuare a puntare sugli ex berlusconiani senza casa. Renzi ha preferito la seconda via. Se da una parte ha infatti preparato il regalo degli ottanta euro in modo che arrivasse giusto il giorno prima delle europee (lui stesso ha twittato le buste paga, come avrebbe fatto il Berlusconi più classico), dall’altra ha puntato sui temi cari al centrodestra senza indugiare su quelli che gli sono invisi: da Vespa non ha parlato di legalità, né di diritti civili; non di energia verde né di altri tempi tradizionalmente legati alla sinistra. Tutti questi argomenti sono invece stati toccati dal “novello berlingueriano” Grillo, che ha visto un elettorato abbandonato e ha colto la palla al balzo per ingrossare – e di molto – la sua compagine.

Ma perché Renzi ha fatto una campagna di centrodestra? E’ pazzo?
No, naturalmente no. L’assioma della strategia renziana è lo stesso con cui ha vinto la segreteria: conquistare i popolari, perché i democratici già ce li abbiamo. Ha funzionato una volta, perché non dovrebbe valere la seconda? Del resto – è il calcolo renziano – il vero democratico che altro può fare?

Tsipras non passerà la soglia, Grillo non è un opzione… o mangi questa minestra o salti dalla finestra.

pozzo

Potrebbe anche avere senso, e domani lo scopriremo. E’ anche possibile, però, che sia una scommessa perdente.

Mentre Grillo ha infatti buon gioco a uscire dal seminato abituale per pescare voti tra gli avversari, perché il suo elettorato di partenza è coeso e non ha mai dovuto affrontare congressi sanguinosi o primarie ad alto tasso di personalizzazione, Renzi guida un partito frammentato esattamente come l’elettorato che l’ha fino ad oggi sostenuto. Il “popolo del centrosinistra” è ben disposto ad assaltare i seggi contro un nemico comune, come Berlusconi o Grillo stesso, oppure per dimostrare una afflato nazionale per la giustizia o la legalità, per difendere la Costituzione o la libertà; ma questo popolo deve essere evocato. Blandito. Chiamato alle armi.
Il popolo del centrosinistra non può essere dato per scontato. Bisogna chiedergli il voto e Renzi ha dimenticato di farlo.

Ha tagliato in maniera severa i fondi del Servizio Pubblico, avvantaggiando una Mediaset in difficoltà e lasciando a Grillo (!) il ruolo di paladino dell’indipendenza dell’informazione televisiva (!!!); ha disatteso quasi tutte le promesse che aveva fatto; ha evocato, nel salotto di Bruno Vespa, De Gasperi mentre Grillo sventolava Berlinguer.
Questa è la minestra.

E se i democratici, esasperati, giudicassero la finestra più invitante?

*Elezioni Primarie di Italia Bene Comune, novembre 2012; Pierluigi Bersani: 61% con 1 milione e 700 mila teste; Matteo Renzi: 39% con 1 milione e cento mila teste.

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