Roma, Marino, elezioni: Il PD e la democrazia

Pubblicato il 1 Novembre 2015 alle 13:06 Autore: Gianluca Borrelli
roma, marino, elezioni, l'ex sindaco in giacca e cravatta e alle sue spalle le bandiere del campidoglio

Probabilmente è già stato detto tutto sulla vicenda eppure permangono alcuni lati oscuri. Di sicuro si è operato uno strappo, una lacerazione innanzitutto nell’elettorato PD, i dirigenti del PD, Orfini in primis, non possono non saperlo.

Malgrado ciò dopo le dimissioni firmate e poi ritirate il PD ha agito con grandissima tempestività, e con una efficacia senza precedenti, per chiudere con la forza l’esperienza di Marino, pur sapendo che comunque questo avrebbe comportato una ferita. Una cosa del tutto evidente, e che si è palesata una volta di più nella conferenza stampa di addio di Marino.

Una conferenza che è un atto di accusa in particolare quando dice che non gli è stata nemmeno data la possibilità di chiedere perché era necessario mandarlo via in questo modo “riducendo gli eletti a meri soggetti che ratificano decisioni assunte altrove“.

Ostinatamente ho chiesto di poter intervenire in Assemblea Capitolina, la casa della Capitale d’Italia, la casa degli eletti dal popolo, la casa delle romane e dei romani.Mi è stato negato e chiedo ancora: perché?Prendendo atto della scelta dei consiglieri che hanno preferito sottomettersi e dimettersi pur di evitare quel confronto pubblico aperto e democratico, qui il video della conferenza stampa in cui ho detto ciò che avrei voluto spiegare in Aula Giulio Cesare. Qui il testo integrale del mio discorso: http://www.ignaziomarino.it/conferenza/

Gepostet von Ignazio Marino am Freitag, 30. Oktober 2015

Marco Causi, vicesindaco quindi molto addentro alla vicenda, prova a spiegare su L’Unità le ragioni di questo allontanamento voluto a tutti i costi scrivendo “Il suo errore più grande è stato quello di proporre una lettura del conflitto da lui aperto con il PD sulla chiave mafia-antimafia“.

Però lo stesso Orfini fino a qualche mese fa usava lo stesso argomento:

Roma, Marino, elezioni, tweet del commissario del pd di roma contro m5s

Quindi l’argomentazione non regge.

Se nemmeno il vicesindaco riesce a spiegare questa urgenza in modo chiaro e comprensibile, e anzi parla anche di una “campagna mediatica di inusitata violenza e dai contorni opachi”,  è naturale che tra i cittadini romani, che hanno votato alle elezioni – ma ancor più quelli che hanno votato anche alle primarie – ci sia chi non capisce cosa sia successo. Certo Roma è spesso invivibile, la metro non funziona, gli scioperi la paralizzano e tutto il resto… ma perché prima le cose come stavano? Non c’erano disagi nei trasporti? E’ colpa di Marino? Anche qui la strumentalità degli attacchi mediatici è evidente. Per molti, come hanno evidenziato i nostri sondaggi, sarebbe stato meglio valutare l’azione di questa giunta una volta finiti i 5 anni di mandato naturale, e non perché fossero tutti fan di Marino, ma perché è così che di solito dovrebbe funzionare, a meno di eventi eccezionali.

Nessuno pensa davvero che il movente sia la storia degli scontrini, ad oggi non c’è nemmeno un rinvio a giudizio, quando per De Luca si è stati (giustamente) garantisti anche a seguito di una sentenza di primo grado…

Non c’era quindi una vera causa di forza maggiore ma più probabilmente un rapporto logorato all’interno dello stesso partito. Il quale partito ora però manda ai propri elettori un messaggio del tipo: “scusateci vi abbiamo fatto votare il candidato sbagliato, ora lo ritiriamo dal mercato come una Volkswagen difettosa e lo sostituiamo con qualcun altro che ancora non sappiamo bene chi possa essere ma che vi faremo sapere a tempo debito”.

A cosa serve votare se poi qualcun altro cancella quel voto senza dover nemmeno chiarire bene il motivo? Perché pagare due euro per partecipare volontariamente alle primarie se poi i capi del tuo partito di riferimento cancellano il tuo voto con una rapidità ed una efficienza senza precedenti? (Secondo Gilioli decisamente brutale, visto che accusa il PD di bullismo).

Roma, Marino, elezioni, manifesto a difesa del sindaco marino e dell'istituto delle primarie

Visto che Marino era anche mezzo commissariato per quanto riguarda il Giubileo, forse sarebbe bastato dirgli di limitarsi a tagliare nastri, a parlare il meno possibile e di smettere di girare il mondo come una trottola fino a fine mandato, per poi salutarlo apparentemente in maniera cordiale senza creare eventi traumatici come questo. Evidentemente questo non è stato possibile, questo stando alle parole dello stesso Orfini, al quale va riconosciuta come dicevano una rapidità di esecuzione ed una efficienza gestionale della crisi notevoli. L’impressione complessiva è quella di un rapporto di coppia (PD e Marino) che si trascina e si logora anche per il bene dei figli (i cittadini di Roma), fingendo a lungo pubblicamente una concordia tra i coniugi che non c’è, fino a quando la separazione diventa inevitabile. E così sarà andata, a meno che non si voglia credere alle dietrologie che girano sui social.

Altro argomento di cui si è parlato spesso è la mancata connessione di Marino con la città e coi cittadini romani. Addirittura nel corso di una puntata di Ballarò fu invitato un esperto di linguaggio dei gesti per analizzare la risposta di Marino alla domanda “lei vivrebbe a Roma se non ne fosse il sindaco?”. Le parole di Marino trasmettevano amore per la città, i movimenti inconsci del suo corpo invece trasmettevano insofferenza.

E’ inutile negarlo, Marino non è romano e non vive e sente la città come chi ci vive da sempre, è stato catapultato in quel ruolo dalla nomenclatura romana, in particolare da Bettini. Questo getta un’ombra sulle primarie visto che alla fine bastano pochi “capi-bastone” per orientarle. Il tutto, se vogliamo, nasce da una dinamica normale legata al comportamento umano: ognuno di noi tende a cercare punti di riferimento ai quali delegare alcune delle proprie scelte, sono pochi quelli che prendono una decisione motu proprio, la maggioranza (quella che molti definirebbero “silenziosa”) sceglie semplicemente di chi fidarsi e poi si conforma a quello che gli viene detto o suggerito. Vota, delega e poi non vuole essere rotta le scatole ogni 5 minuti, ma si riserva di confermare o cambiare la propria decisione alla fine del mandato. Il “recall” all’americana qui non è maggioritario e appartiene solo alla cultura di una minoranza politicizzata ed estremamente chiassosa che passa buona parte del proprio tempo a chiedere le dimissioni di chiunque e per qualunque motivo. Si tratta di una visione molto più vicina alla cultura a 5 stelle piuttosto che a quella del PD, così come più vicina alla cultura a 5 stelle, rispetto alla cultura garantista del PD, è stata tutta la polemica sugli scontrini.

Alle scorse elezioni pochi videro come un fattore negativo l’estraneità di Marino, il “marziano”, rispetto alla realtà romana. Ora probabilmente una campagna basata sulla vera romanità ed il vero amore per Roma, come quella fatta da Marchini (che infatti ora sembra riscuotere un ottimo successo), avrebbero ben altro impatto tra coloro i quali non hanno apprezzato questa mancanza di connessione di Marino con la città, questa sua (decisamente inopportuna) voglia di fuggire appena possibile.

Roma, Marino, elezioni,

Ora cosa potrà succedere?

Le ferite si rimarginano, le fratture si ricompongono, ma solo se disinfettate e curate a dovere, serve un cambio di passo che giustifichi quello che è successo, perché sostituire Marino non è come sostituire Letta, che non era stato scelto dai cittadini come premier e che non aveva mai partecipato ad elezioni primarie. Qui parliamo di un sindaco scelto con le primarie e votato al ballottaggio da quasi i 2/3 degli elettori votanti, quindi per giustificare il tutto e dare un messaggio forte serve qualcosa di straordinario, qualcosa che dia l’idea che valeva la pena operare questo strappo. Per il bene di Roma e dell’Italia non possiamo che augurarci che sia così.

L'autore: Gianluca Borrelli

Salernitano, ingegnere delle telecomunicazioni, da sempre appassionato di politica. Ha vissuto e lavorato per anni all'estero tra Irlanda e Inghilterra. Fondatore ed editore del «Termometro Politico».
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