Miliband, Farage, Clegg: in UK dimissioni per tutti. E in Italia?

Pubblicato il 8 Maggio 2015 alle 17:11 Autore: Alessandro Genovesi
dimissioni miliband

Il trionfo di David Cameron alle elezioni legislative ha determinato un terremoto politico di non poco conto nel Regno. Tutti gli sfidanti del premier uscente (a questo punto riconfermato), sono caduti sotto i colpi del voto popolare. E, cosa sorprendente a queste ma non a quelle latitudini, si sono dimessi.

Il primo è stato Nick Clegg, il leader dei Lib-Dem, il partito centrista che, grazie al boom delle elezioni del 2010, potè issarsi fino al vice-premierato del Governo. Il voto di ieri si è invece rivelato un vero e proprio dramma: dai 56 deputati uscenti, i liberali sono scesi a 8, conquistando poco più del 7% dei voti. Il tracollo ha spinto Clegg e rassegnare le dimissioni, definendo le elezioni la sconfitta di ieri “la peggiore della storia del partito”.

A stretto giro di posta è arrivato il passo indietro di un altro big. Nigel Farage, leader del partito di destra radicale Ukip, non ha conquistato il seggio, perdendo nel collegio di Thanet South, nonostante i 16.026 voti. Una decisione impressionante, se si pensa che meno di un anno fa, grazie al successo delle europee, l’Ukip era in ascesa e si candidava a governare il Paese.

Da ultimo sono arrivate le dimissioni più scontate, quelle del vero sconfitto. Ed Miliband, alla guida dei Laburisti, si era posto come obiettivo di spodestare la leadership conservatrice dal 10 di Downing Street. Il risultato è stato un flop di dimensioni imponderabili: rispetto a 5 anni, il Labour ha perso ben 25 seggi. 

dimissioni bersani nel 2013

Dimissioni, il paragone con l’Italia è impietoso

Tre leader nazionali saltati in tre ore: un evento deflagrante. Per noi italiani. È infatti risaputo come nel Belpaese, sia che si vinca sia che si perda, finisca tutto a tarallucci e vino. Anzi, è raro che perfino qualcuno ammetta di aver perso.

Non serve andare troppo indietro per trovare qualche esempio: le politiche del 2013, clamorosamente toppate dalla coalizione Italia Bene Comune, non spinsero l’allora candidato premier Pierluigi Bersani al passo indietro. Che invece arrivò due mesi dopo, in occasione dell’agguato dei “101” nella mancata elezione di Romano Prodi al Colle.

L’anno scorso, in occasione delle Europee, andò in scena lo stesso copione. A parte Matteo Renzi (vero trionfatore della consultazione), tutti gli altri ne uscirono con le ossa rotte: in primis Beppe Grillo che, ingannato dai sondaggi, pensò di riuscire a sgambettare il premier. Ma anche gli altri: un Berlusconi ridotto ai minimi termini, un Alfano che oltre la soglia di sbarramento per il rotto della cuffia, un Vendola travestito da Tsipras che, alla testa di lista di sinistra radicale, prende la metà di quanto sperato. Fateci caso: sono ancora tutti lì, a capo dei rispettivi partiti. Com’è lontano il Canale della Manica.

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L'autore: Alessandro Genovesi

Classe 1987, laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Udine, è da sempre appassionato di politica e di giornalismo. Oltre ad essere redattore di Termometro Politico, collabora con il quotidiano Il Gazzettino Su twitter è @AlexGen87
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