Mommy, non sempre l’amore basta a salvarci

Pubblicato il 7 Gennaio 2015 alle 08:54 Autore: Francesca Garrisi

Uno skateboard, una strada tutta per sé, e Wonderwall degli Oasis nelle orecchie. Basta poco, in fondo, per andare incontro al mondo e mordere la vita, se hai sedici anni. La fame di scoperta ha la meglio su tutto.

Nessun argine può contenerla, neppure il disagio mentale. Steve (Antoine Olivier Pilon) è un fiume in piena che può deragliare a causa della sua stessa, travolgente, esuberanza, perennemente sul punto di trasformarsi in un boomerang.

Sarà sufficiente l’amore della madre Diane (Anne Dorval) a incanalare le sue energie, a tratti rabbiose, verso qualcosa di costruttivo, in grado di riscattarlo realmente? Questa è la storia che prova a raccontare Xavier Dolan, giovanissimo regista canadese francofono, con il suo ultimo lavoro, Mommy.

Steve è un adolescente, ma il caso non lo aiuta a vivere in modo spensierato la sua età. Il ragazzo infatti deve fare i conti con disturbi dell’apprendimento e un’iperattività che sfociano rapidamente in aggressività incontrollata, soprattutto in situazioni di grande stress. Diane, appariscente ma in fondo meno forte di come vorrebbe apparire, fa quel che può per raddrizzare la sgangherata esistenza che Steve rischia di prepararsi, crogiolandosi nel pigro e solitario limbo in cui si rifugia per evitare il confronto con la quotidianità.

Tuttavia, neanche con Diane la vita è stata particolarmente generosa, e alla lunga dover combattere ogni giorno su tanti e diversi “fronti” logora anche l’animo più tenace. Così, per i due un’insperata “ancora di salvezza”, un inatteso (ag)gancio con il mondo si manifesta attraverso Kyla (Suzanne Clément), misteriosa vicina di casa con marito e figlia al seguito, nonché insegnante in anno sabbatico. Affetta da balbuzie, la donna sembra assaporare una nuova stagione grazie a Steve e Diane, che diventano parte della sua quotidianità, dando forse un nuovo significato al suo concetto di famiglia.

mommy cinema

Come tutti i genitori, Diane spera il meglio per Steve, e stavolta, purtroppo, il distacco tra sogno e realtà è quasi incolmabile. Per una volta, decidere se percorrere o meno questa distanza spetta a una madre, e non a un figlio. E la scelta può essere straziante, da qualsiasi punto la si guardi.

In Mommy le scelte tecnico-stilistiche sono disegnate su misura del messaggio che Xavier Dolan vuole comunicare al pubblico. Infatti, come qualcuno ha efficacemente scritto, «c’è spazio per una persona sola nei fotogrammi. Letteralmente. Il formato scelto infatti è più stretto di un 4:3. Inusuale e con un’altezza leggermente maggiore della larghezza, costringe a prevedere una persona sola in ogni inquadratura o a strizzarne due per poterle guardare da vicino. Come un letto a una piazza. Attraverso questa visione simile a una gabbia, Dolan crea tre personaggi lontani da qualsiasi paragone o altri esempi già visti. Intrappolati in un formato claustrofobico, non gli rimane che sognare la libertà e serenità di un irraggiungibile 16:9».

L’amore che lega Diane a Steve è accidentato e turbolento, ma lo è ben oltre la fisiologica soglia di conflitto che scandisce i rapporti tra genitori e figli in età adolescenziale. Lo è perché c’è un terzo “componente” della famiglia, ovvero i disturbi con cui il ragazzo è costretto a convivere. “L’irruzione” di Kyla nella loro quotidianità sbilenca riequilibra almeno in parte i piatti della bilancia, ma l‘intensità del legame tra la madre e il ragazzo resta comunque incomprensibile e indecifrabile, al punto che qualcuno potrebbe addirittura metterla in discussione. Uno dei pregi migliori di Mommy è proprio quello di mostrare che, perfino l’amore ritenuto per eccellenza quello più infallibile, contiene in sé il “germe” dello sbaglio. Comunque, ciò non contamina né ridimensiona l’importanza del sentimento genitoriale.

Antoine Olivier Pilon, Anne Dorval e Suzanne Clément danno corpo ai tre protagonisti in modo incredibilmente convincente. Steve, Diane e Kyla catturano lo spettatore, suscitando alternativamente empatia e distanza. Segno questo della bravura degli interpreti a entrare in una storia tutta giocata sul brusco variare dei colori, che spesso virano verso il chiaroscuro e lo sfumato. Tuttavia, l’impatto di questa altalena emozionale sarebbe potuto essere ulteriormente amplificato “asciugando” di trenta/quaranta minuti il film, ed è forse questo l’unica pecca di Mommy. Assolutamente meritato, quindi, il premio della giuria vinto da Xavier Dolan ex aequo con Godard.

L'autore: Francesca Garrisi

31 anni, una laurea in Scienze della Comunicazione e poi un master in comunicazione d’impresa e comunicazione pubblica. Ha collaborato con l’Osservatorio di Comunicazione Politica dell’Università del Salento, e come stagista con il settore Comunicazione Istituzionale della Regione Puglia. Ha scritto per l’mPAZiente, bimestrale d’inchiesta salentino, e a oggi collabora con Termometro Politico e il settimanale salentino Extra Magazine. Un po’ Monty Python un po’ Cuore Selvaggio, è innamorata della lingua tedesca, che ritiene ingiustamente sottovalutata e bistrattata
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