Draghi contro Weidmann sul QE. Ma hanno ragione entrambi (purtroppo)

Pubblicato il 24 Novembre 2014 alle 17:04 Autore: Giovanni De Mizio
presidente bce

La notizia della scorsa settimana per i mercati finanziari è stato il discorso molto da colomba di Mario Draghi, che non solo ha ricordato che la BCE è pronta a fare “whatever it takes”, ma ha anche aggiunto che è pronta a fare ciò che è necessario per attivare il suo stimolo monetario “senza ritardo”, aprendo la porta ad un “tradizionale” quantitative easing” (per il quando e il come dovremo aspettare almeno il primo giovedì di dicembre).

Notizia non meno importante è che Jens Weidmann, capo della Bundesbank (la banca centrale tedesca) nonché il capo dei falchi di Francoforte, non è entrato in sala congressi brandendo una motosega: Weidmann si è limitato a parlare di banche, della necessità di rafforzare il loro capitale e della congiuntura che impedisce loro di trovare nuovi impieghi per i quattrini nei loro forzieri. Il presidente della BuBa ha comunque ribadito la sua radicale contrarietà ad un QE sovrano lunedì, raffreddando gli animi con motivazioni parziali ma non scorrette.

L’evento ha comunque provocato l’euforia sui mercati finanziari, con rialzi superiori al 2%, con banche anche sopra il 3%: tutte le ragioni, visto che Draghi sembra volersi porre come mini-sostituto di una Federal Reserve che potrebbe pigiare il freno a breve. Ma quanto le cose sono realmente cambiate? Non molto a dire il vero: il quantitive easing servirà a Draghi per provare a tenere inflazione sopra lo zero, ma la crescita economica, che non è nella mandato della banca centrale, difficilmente arriverà prima i governi centrali si rendono conto della necessità di un cambiamento di paradigma per effettuare le riforme strutturali. Draghi proverà a comprare tempo regalando denaro, tuttavia il resto, come ha d’altro canto ribadito il presidente della BCE, non spetta a lui.

Draghi può provare ad ovviare alla carenza di denaro, ma non può risolvere altri problemi relativi a due categorie principali. La prima è che per inseguire minoranze (sempre meno minori) populiste i governi sono costretti a fare scelte dettate più dalla pancia che dalla testa. Per l’Italia si può prendere l’esempio degli 80 euro, spesa pubblica spacciata per taglio delle tasse coperta da un aumento nascosto delle medesime, ma esempi simili si ritrovano in altre zone dell’area euro, Germania compresa. Questi colpi di testa creano ovviamente tensioni, in particolare nel centro dell’area della moneta unica.

bce-asta

Tali governi hanno infatti una naturale tendenza a ritenere quelli della periferia dei fannulloni, a parziale ragione (sempre l’Italia attende riforme da decenni, sempre promesse e mai attuate completamente: la diffidenza è naturale). Il centro non vuole elargire denaro senza vedere il cammello, e però serve denaro per costruire quel cammello (le riforme): è ciò che Weidmann ha lasciato intendere lunedì. Insomma, c’è sfiducia crescente sia all’interno che all’esterno dei Paesi interessati, e non sembra ci sia spazio per risolvere queste questioni a breve.

Purtroppo il quadro è fosco: o si fanno riforme impopolari e dolorose oppure si proverà il dolore di sbattere contro la realtà. Al contrario di quanto affermano certi pifferai, non ci sono formule magiche, e, per quanto Draghi possa comprare tempo, ci sono fattori di lungo periodo, come la demografia, che remano inesorabilmente contro tutti, pifferai e cassandre.

L’agenda relativa al primo giorno di questa settimana semibreve (giovedì è il giorno del Ringraziamento negli USA, e i mercati andranno a rilento anche venerdì) ha visto i dati sulla fiducia delle imprese tedesche, che hanno dato un po’ di respiro ad Angela Merkel con valori leggermente superiori alle attese.

Martedì l’Italia rilascerà le vendite al dettaglio, attese in lieve crescita a settembre dopo il calo dello 0,1% nel mese precedente. Ma il dato più importante della mattinata sarà quello del PIL tedesco, che dovrebbe scongiurare definitivamente il rischio recessione con un rialzo su base trimestrale dello 0,1%. Anche gli USA renderanno noti i dati sul prodotto interno lordo, che dovrebbero confermare una decisa crescita dell’1,3% su base trimestrale.

Mercoledì verranno resi noti dati statunitensi relativi a ben tre giorni, ovvero fino a venerdì: si comincia alle 14:30 ora italiana con gli ordinativi di beni durevoli (attesi in rimbalzo dello 0,5% a ottobre) e i consueti jobless claims (attesi in modo altrettanto consueto poco sotto le 290milaunità); alle 16 toccherà ai dati sul mercato immobiliare, che dovrebbero registrare ulteriori, lievi miglioramenti. In mattinata il Regno Unito pubblicherà i suoi dati sul PIL, atteso in crescita dello 0,7% su base trimestrale.

Giovedì la Spagna renderà nota una crescita del PIL, almeno secondo le attese, di un mezzo punto percentuale, anche se in un contesto persistentemente deflattivo. La Germania e Italia renderà noto il proprio tasso di disoccupazione, atteso 6,7%, stabile rispetto alla rilevazione precedente. Alle 12:30 ora italiana è atteso un nuovo discorso di Draghi a una settimana dall’ultimo meeting mensile della BCE (dal prossimo anno si terranno ogni sei settimane).

Venerdì occhio ai dati sull’inflazione e sulla produzione industriale giapponese; l’ISTAT rilascerà il tasso di disoccupazione dell’Italia, atteso stabile anche in questo caso, anche se non ai tassi minimi tedeschi (il contrario, a dire il vero); verrà reso noto anche il tasso di inflazione, atteso negativo su base mensile (-0,3%, HIPC -0,4%) e praticamente fermo su base annua (0,0%, HICP +0,1%). Per l’Europa gli stessi dati dovrebbero segnalare un’inflazione debolmente positiva (+0,3% il dato totale, +0,7% core, entrambi dati annui), e un tasso di disoccupazione stabile all’11,5%.