Tunisia: laicismo in salsa non occidentale

Pubblicato il 3 Novembre 2014 alle 09:03 Autore: Ilaria De Bonis

Il partito islamico Ennahda in Tunisia ha perso le elezioni, sebbene di poco. Ma il suo grande oppositore, Nidaa Tunes, non le ha stravinte. E dovrà pensare ora ad un governo di coalizione. Per il ‘Paese dei gelsomini’ i prossimi mesi, dopo le presidenziali del 23 novembre, saranno una bella prova.

“La Tunisia è islamicamente laica. L’eccezione tunisina sta nell’essere un paese transculturale che ha sempre vissuto una dimensione multipla”, spiega Leila El Houssi, ricercatrice all’Università di Firenze e coordinatrice del master in Mediterranean studies alla facoltà di Scienze Politiche. La Tunisia calibra cultura e religione islamica in un contesto socialmente fertile. Ma le categorie ‘laico’, ‘progressista’ e ‘islamico’ vanno osservate con lenti meno occidentali. In quest’ottica cos’è Nidaa Tounes (Appello per la Tunisia)?

“Non è un partito islamista ma non è completamente laico come potremmo pensarlo usando parametri europei” chiarisce subito Pietro Longo, direttore del programma di ricerca Nordafrica e Vicino Oriente dell’Istituto di Alti Studi in geopolitica e scienze ausiliarie: “È vero, le donne del partito non indossano il velo, ma basta questo a definirle laiche?”

Inoltre, dice, come si è visto dai risultati “la società civile tunisina (anche quella della rivoluzione di avenue Bourghiba ndr.) non è tutta con Nidaa Tounes, tant’è vero che il paese appare spaccato. Molti hanno fatto un voto utile: la gente non l’ha votato per vera convinzione. In Tunisia c’è un solo partito genuinamente laico, quello  comunista del Fronte Popolare”.

Eppure tutto questo non diminuisce la capacità democratica della base. Anzi. La domanda più pertinente allora è: “Il laicismo è un elemento assolutamente necessario per la democrazia, oppure no?”, si chiede Longo. La Tunisia sta cercando di dimostrare che così non è. Che si può, con molta difficoltà, avere uno Stato confessionale e democratico.

“Tutti i paesi arabi sono confessionali, il punto è capire come modulare la religione col pluralismo”, dice. Questa è l’eccezionalità tunisina. E la scommessa finora è vinta. “La Tunisia è una sorta di laboratorio sociale e politico che sta producendo cose interessantissime”  aggiunge Leila El Houssi, anche autrice del libro ‘Il risveglio della democrazia’.

Tunisia 2

Photo by Tony IsgettCC BY 2.0

In Tunisia il progresso non sta nella contrapposizione secca islamismo/laicismo e nell’esito di questo scontro, quanto piuttosto nella possibilità del confronto in sé e del dialogo sociale, che con il dittatore Ben Ali ovviamente era bandito. Non dimentichiamo che ‘il progressista’ Nidaa Tounes è guidato da Beji Caid Essebsi, che ha 87 anni, ed è stato ministro degli Esteri negli anni Ottanta e portavoce parlamentare negli anni Novanta, sotto Ben Ali. Essebsi è il candidato alle presidenziali con più chance d’essere eletto.

“Da una parte Nidaa è un esperimento: un movimento-partito nato come rigurgito anti-islamista che ha inglobato le personalità più varie” dice Longo, “è una galassia di partiti e movimenti che si sono uniti in funzione anti-islamista e rispondono ai comandi dei due leader; dall’altra Ennahda è un partito internamente molto più democratico. C’è un certo dibattito in seno al partito ed è dotato di strutture non verticistiche”.

Entrando nel merito, la Tunisia deve ora affrontare la scommessa economica. “La campagna elettorale si è giocata sull’idea del partito islamico che poteva riportare indietro il paese, ma di fatto è sull’aspetto economico che si gioca il futuro”, precisa ancora El Houssi. “Nel 2011 aveva vinto un partito di ispirazione islamica, oggi vince un partito che fa della laicità il proprio cavallo di battaglia. In realtà la vera scommessa qui è affrontare il nodo della crisi economica: il tasso di disoccupazione è sempre più alto. I tunisini hanno dato fiducia tre anni fa ad Ennahda, pensando che potesse risolvere la crisi economica. Di fatto ha disatteso le speranze e Nidaa Tunes è diventato un partito verso il quale dirigersi”, spiega  El  Houssi.

A guidare la scelta, insomma, è il principio dell’alternanza più che quello dell’anti-Islam ad ogni costo. Non cosa da poco in un Paese che si avvia a costruire una democrazia reale, basata su una Costituzione dalle ottime premesse.

Certamente “con questi numeri Nidaa Tounes non ha più bisogno di Ennahda per formare una maggioranza e un nuovo governo, le bastano alleanze con partiti minori, più vicini a lei ideologicamente”, scrive Monica Marks.

La grande imprudenza di Ennahda, però, è stata quella di non avere candidati alle presidenziali imminenti. “Aveva investito totalmente nei risultati delle legislative. Adesso si trova a non avere vinto e a non avere un candidato”, precisa Longo.

Cosa ne è stato dei movimenti salafiti tunisini che tanto avevano spaventato l’opinione pubblica europea all’indomani dell’omicidio di Chokri Belaid, leader del partito dei Patrioti Democratici? “Anche qui etichettiamo come salafiti diversi movimenti ma ci sono delle differenze. Ansar al- Sharia non si è mai registrato come movimento partitico. E’ molto radicato nel tessuto sociale, è un fenomeno. La partecipazione popolare è tanta, facevano presa tra i giovani e con la politica non avevano a che fare direttamente. Dopo l’assassinio di Belaid sono scomparsi dalla scena pubblica. Oggi è un movimento clandestino e fuori legge”.

E non è l’unico: ci sono il Partito della liberazione, che vorrebbe un califfato per via pacifica e una rieducazione della società, e il Fronte della Riforma, islamista di vecchissima data che non ha mai avuto né un vero seguito né una base.

Immagine in evidenza: photo by McKay SavageCC BY 2.0