Combattere la solitudine da social con un sano cruciverba. Parola di Stefano Bartezzaghi

Pubblicato il 15 Settembre 2014 alle 19:20 Autore: Clara Amodeo

“Siamo soli” cantava, non molto tempo fa, Vasco Rossi. Senza volere equiparare i due (l’ago della bilancia piega inevitabilmente verso il secondo), è quello che sostiene anche Stefano Bartezzaghi nel suo intervento a Camogli. Per il grande saggista enigmista italiano, la solitudine si divide in due categorie: una solitudine pre-moderna, quella dell’asceta eremita legata a un’immersione totale nella natura, e una solitudine moderna, quella dell’incomunicabilità come resa senza condizioni, quella della sanguinetiana “folla solitaria”, la stessa che spietatamente partorisce una contemporanea società massmediale. Il primo a parlarne è Dossena che, in un testo letterario, raccoglie una serie di panvocalismi a cui aveva giocato coi suoi lettori su alcune rubriche che tenne in diversi  quotidiani italiani.

Ma Dossena non ha creato un format: questo genere, quello del gioco enigmistico, nasce infatti da una tradizione italiana più che secolare, che prosegue nella modernità e si scontra oggi con i mass media. L’interattività, infatti, non nasce con la telematica: fin dagli esordi, infatti, la stampa periodica sollecita un’interattività col lettore, la cui prima forma è la posta, tanto che gli stessi titoli dei quotidiani periodici rimandano alla sua idea (Corriere, Espresso, Daily Mail), mentre la seconda è quella dei giochi e dei diversi concetti di gioco nelle forme del concorso e del puzzle (enigma, indovinelli, cruciverba, sudoku).

Anche tra i giochi, come in ogni manifestazione culturale, esiste un’evoluzione qualitativa: i primi sono le charade del Tour de France, poi vengono gli enigmi di Philadelphia di Edgar Allan Poe, i nodi di Lewis Karrol, i giochi matematici di Martin Garden. A metà strada tra ieri e oggi c’è la parabola di Dossena, che prosegue con Eco che con Benigni sono stati i primi a proporre, ormai tanti anni fa, il gioco di cambiare una sola lettera ai titoli famosi dei film: da quel momento non si contano più i siti in cui è possibile fare questi giochi.

Ma ormai, oggi, questi passatempi si sono frantumati: noi giochiamo in qualsiasi momento, il nostro strumento di lavoro è il computer e il computer ci viene venduto con dentro dei giochi, non abbiamo più bisogno di interrompere un’attività per metterci a giocare: ciò crea un cortocircuito che aliena e rende solo il giocatore medio. Eppura una soluzione sembra esserci. Sulla facciata apparentemente chiusa della mass-medialità, il gioco apre uno spiraglio e forse bisognerebbe riprendere quella sociologia che parte dai giochi per osservare quali sono le conseguenze di questa frammentazione, dal gioco ai giochi al ludico.