No al referendum, ecco perché

Pubblicato il 28 Gennaio 2012 alle 09:31 Autore: Matteo Patané
no al referendum

Il 12 gennaio 2012 la Corte Costituzionale, con la Sentenza 13/2012, ha chiuso le porte al referendum popolazione abrogativo in materia di legge elettorale, un nuovo tentativo dopo i fallimenti del 2009 di alterare la Legge 270/2005, tristemente nota con l’epiteto di “Porcellum”.

La concomitanza dell’episodio con la votazione parlamentare che ha evitato il carcere al deputato PdL Nicola Cosentino ha fatto gridare da più parti allo scandalo, e associato con un cortocircuito logico i due eventi in un’unica espressione di autoconservazione della casta politica.
I due eventi, tuttavia, sono profondamenti differenti tanto per natura quanto per significato: una sentenza giudiziaria è in massima parte frutto dell’applicazione della legge esistente, in cui gli spazi interpretativi sono ridotti al minimo tanto dai vincoli legislativi quanto – specie nel caso di una pronuncia della Consulta – dalle precedenti pronunce; per contro, una votazione in Parlamento costituisce l’atto legislativo per eccellenza, in cui la legge non viene applicata, Costituzione a parte, ma creata, e le cui radici vanno quindi al di là delle legge in sé stessa per affondare nei valori etici e morali dei delegati del popolo.

no al referendum

Una sentenza della Consulta, per quanto il linguaggio giuridico possa facilmente esporre il fianco a critiche e polemiche “di pancia” a causa della sua oggettiva complessità, offre al lettore le motivazioni e le fondamenta del proprio essere, a disposizione per ogni tipologia di analisi.
Urla di piazza che si limitino, prima ancora del deposito della sentenza, ad etichettarla come un provvedimento in difesa della casta si rivelano essere quindi decisamente fuori luogo per una molteplicità di motivi: criticano un risultato senza indagare come è stato ottenuto, presupponendo malafede laddove una decisione è in realtà stata presa sulla base di processi logici inevitabili; scambiano spesso la causa con l’effetto, attribuendo una volontà esplicita di preservazione del privilegio al giudice laddove tale volontà è invece insita nella legge stessa ed il giudice – per sua natura – non può che applicarla.

Per questa ragione è indispensabile, in special modo su un tema così delicato come una legge elettorale, analizzare in profondità la pronuncia della Corte prima di gridare al complotto.

I quesiti del referendum possono essere reperiti sul sito del comitato referendario, rispettivamente a questo e questo link. Come si può vedere, l’intento dei promotori del referendum era un’abrogazione completa della Legge 270/2005 per quanto riguarda il primo quesito, mentre il secondo prevedeva una modifica chirurgica di determinate parti del testo. Le due tecniche miravano tuttavia al medesimo obiettivo, il ritorno alla precedente legge elettorale, il cosiddetto “Mattarellum”.
Le speranze dei promotori del referendum risiedevano principalmente nella natura di fatto abrogativa della Legge 270/2005: dal momento che tale norma costituiva di fatto un’abrogazione della precedente legge elettorale, abrogarla a sua volta avrebbe riportato automaticamente in vigore la legge precedente.

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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